Per ora li notiamo ai bordi delle strade, sui marciapiedi davanti alle farmacie, nei parcheggi dei supermercati, ma presto li troveremo adagiati sulle nostre spiagge o incastrati in fondo al mare.
Mascherine e guanti, diventati ormai accessorio indispensabile della nuova quotidianità, stanno per entrare nella top ten dei “rifiuti spiaggiati” individuati ogni anno da Legambiente insieme a tappi, coperchi, frammenti in plastica e in polistirolo, bottigliette e cotton fioc. Il problema dello smaltimento dei DPI (dispositivi di protezione individuale) monouso è un tema che si stanno ponendo non soltanto le associazioni ambientaliste come il Wwf e diverse ong internazionali, ma anche studiosi e istituzioni.
Come smaltire correttamente mascherine e guanti?
Recentemente il professor Francesco Saverio Violante – a capo del laboratorio del policlinico di Bologna che esegue i test di validazione delle mascherine chirurgiche – ha spiegato all’agenzia Dire che i 40milioni di mascherine giornaliere che si stima siano usate dagli italiani, produrranno circa 300 tonnellate di scarti quotidiani.
Oggi un piano organico per questo tipo di rifiuti non c’è: perché mentre i DPI utilizzati in ambito medico chirurgico vengono smaltiti come rifiuti speciali, quelli indossati comunemente devono essere per la maggior parte gettati nell’indifferenziato, come da indicazione dell’Istituto Superiore di Sanità. E nessuno, o quasi, di questi dispositivi al momento è riciclabile: «Le mascherine sono realizzate per la maggior parte in materiale plastico come il polipropilene, non biodegradabile e per ora non ci sono filiere per riciclarle», spiega Valentina Minazzi, vicepresidente di Legambiente Lombardia.
«I guanti sono realizzati in diversi materiali, come ad esempio il lattice, anch’esso non riciclabile. Per correre ai ripari, ed evitare di ritrovarci sommersi di spazzatura, bisogna da un lato incentivare l’acquisto di dispositivi sanificabili e riutilizzabili, dall’altro sbrigarsi intervenendo con scelte normative sia nazionali che europee».
Sì perché, ad esempio, i DPI non rientrano nelle categorie di rifiuti normati dalla direttiva UE sulla plastica monouso che ne vieta il commercio entro il 2021. Il dicastero dell’Ambiente – ha annunciato il ministro Sergio Costa – sta apparecchiando un tavolo tecnico insieme all’Ispra per monitorare i flussi dei rifiuti indifferenziati, differenziati e sanitari e sta predisponendo una campagna di comunicazione, soprattutto davanti alle farmacie.
Ed è proprio con i farmacisti e la grande distribuzione che il Governo sta studiando il posizionamento di raccoglitori di mascherine e guanti usati affinché si possano riciclare: «Alcune aziende – ha spiegato Costa – stanno testando la sanificazione commerciale di questi prodotti per usarli come materia prima seconda, quindi con un ritorno che viaggia nell’ottica dell’economia circolare».
Oltre al nodo dello smaltimento di ciò che viene regolarmente gettato nei bidoni appositi, con questo nuovo tipo di rifiuti si ripropone un’annosa questione di civiltà: le strade delle nostre città sono ricoperte di guanti e mascherine buttati qua e là che, traghettati da reti fognarie spesso non impeccabili, finiscono nei fiumi, nei laghi, in mare.
Il fondatore dell’organizzazione no profit francese Opération Mer Propre, durante una missione subacquea ad Antibes, in Costa Azzurra, ha condiviso su Facebook un video, ripreso dalla Bbc, in cui raccoglie sul fondo dell’oceano decine di guanti e mascherine monouso e lancia l’allarme: «Presto nel Mediterraneo potrebbero esserci più maschere che meduse».