Smetterla di disprezzare l’Italia. E altre 7 cose da fare subito

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AVVERTENZA: questo post contiene un linguaggio ad alta frequenza di storpiature lessicali e semantiche che personalmente aborro, ma che ho dovuto usare per amore di verosimiglianza con le conversazioni alle quali ho assistito/partecipato

Da quando sono arrivata negli Stati Uniti per fondare Timbuktu insieme a Elena Favilli ho iniziato a essere parte di una conversazione che si ripete ciclicamente (in loop per gli startup-guru) in qualsiasi dibattito online e offline tra startupper nostrani in Italia e startupper nostrani all’estero. Gli argomenti presentati sono quasi sempre gli stessi, quindi ve li riassumo in ordine sparso alternati tra fanatici dell’Ammerica e surdati ‘nnammurati:

– La burocrazia ti killa in Italia, in America è tutto più lean

– Sì, ma in America non ci sono garanzie per i lavoratori

– Basta con i contratti a tempo indeterminato! Chi ha talento, delivera e dà un buon ROI all’aziendatanto il lavoro lo mantiene e viene incentivato con i benefit!

– Ma cosa c’entra? L’economia di un paese non può reggersi su un’oligarchia del talento, il lavoro è un diritto!

– Allora è meglio un’oligarchia della mediocrità?

– No, ma bisogna stare attenti.

A San Francisco ci sono homeless dappertutto: questa non è civiltà.

– Che c’entra, qui il topic è business e tech.

In ognuna di queste osservazioni c’è del vero. Non c’è da sorprendersi: il tema di come innovare l’economia di un paese facendo procedere lo sviluppo economico di pari passo con lo sviluppo sociale è di una complessità spaventosa e nessun paese al mondo ha la ricetta per mostrare a tutti gli altri come si fa. Ci sono alcuni paesi, come quelli Scandinavi, che probabilmente sono più vicini di altri, ma nessuno – ripeto nessuno – ha una ricetta.

– Che c’entra ma qui stiamo parlando di business e tech.

Dal mio punto di vista, business e tech non sono fenomeni disgiungibili dal contesto nel quale si manifestano.

Gli stessi fanatici dell’Ammerica citano le università, la burocrazia… si spostano cioè anche oltre la mera analisi del processo ideale di fondazione di un’azienda includendo tra le variabili che influenzano positivamente il fenomeno l’educazione e il funzionamento di uno stato. Ma, se gli parli di stato sociale, ti rispondono “che c’entra?”.

Esempi come la Svezia e la Finlandia dimostrano che invece la qualità dello stato sociale può avere un impatto enorme sullo sviluppo dell’ecosistema tech di un paese: questi paesi hanno prodotto negli ultimi anni alcune delle più innovative aziende tecnologiche e di design. Perché? Perché stato sociale vuol dire scuole migliori e più moderne, maggiori garanzie per i cittadini (che aumentano la propensione al rischio) e in particolare per le donne, e quindi ampliamento del pool di talenti al quale la nazione può attingere per svilupparsi.

Gli startup-guru riescono in questo sofisticato esercizio intellettuale: da una parte si definiscono “realisti” mentre analizzano il fenomeno dell’innovazione tecnologica come se fossero tecnici di laboratorio e potessero esaminarlo al microscopio in condizioni ideali, dall’altra chiamano “idealisti” tutti coloro che cercano di fargli notare che i paragoni tra Italia e Silicon Valley sono superficiali se non strutturati come un’analisi sistemica (e che – incredibilmente – al mondo non esistono soltanto l’Italia e la Silicon Valley, ci sono tanti paesi al mondo, dai quali si possono imparare molte cose a volersi guardare intorno).

Questa giacomelica (rant per gli startup-guru) non ha come obiettivo quello di dire che l’Italia è un paradiso. Il mio obiettivo qui è di invitare tutti a guardare un pochino più in là, a non confinarsi in un tunnel Milano-Lambrate/SanFrancisco-Soma perché il mondo è più grande di così. La ricchezza che un paese come l’Italia può offrire alla storia del mondo sta proprio nell’offrire un nuovo inquadramento alla questione dello sviluppo economico. Non possiamo ignorare che il modello dello sviluppo economico prodotto dalla Silicon Valley generi una obbrobriosa disparità sociale, un numero scandaloso di handicappati che vivono per strada, una disparità di opportunità tra persone di razze e classi sociali diverse che fa impressione.

Lo so che è comodo parlare soltanto della propria piccola cerchia di amici sviluppatori e imprenditori e di come loro vorrebbero che fosse il mondo, ma questo è “4 amici al bar” non una discussione sul futuro di un Paese.

A tutti coloro che indicano la Via per l’Italia come paese che può fornire manodopera di alto livello a basso costo, poi, dedico un pensiero particolare: “ma veramente fate? Siete geniali! Potremmo anche far fare palloni ai bambini! Perché non ci abbiamo pensato prima???”.

Queste sono tutte considerazioni di alto livello, qualcuno di voi mi dirà. Non ci sono cose che si possono fare subito per migliorare le condizioni di un paese che sta attraversando una crisi profonda e dolorosissima con la disoccupazione giovanile al 43%?

Sì ci sono. Elenco alcune cose che potrebbero essere fatte da lunedì.

1) Rispondere alle email in genere in giornata (massimo entro 3 giorni).

2) Dare/chiedere feedback sul proprio lavoro e pensare al feedback che si è ricevuto (sia che siate investitori, sia che siate impiegati, sia che siate imprenditori).

3) Cercare di migliorare costantemente la qualità del processo produttivo (che si tratti di deal flow, produzione di prodotti, assunzioni). Processi migliori danno vita a scambi di maggiore qualità.

4) Non assumere i propri amici, ma fare del proprio lavoro uno strumento per conoscere costantemente nuove persone e avviare nuove relazioni.

5) Dimostrare di avere abbastanza personalità da non aspettare che ci sia un americano a investire per capire la qualità di un imprenditore. È troppo provinciale, dai!

6) Pagare subito. Non fare cose per le quali non c’è budget. Fare i bidoni alla gente o farli penare per un bonifico è mostruoso.

7) Viaggiare e cercare di capire. Non flagellarsi ovunque si vada perché “peggio che da noi solo l’Uganda”, ma dialogare per capire quali relazioni e quali idee possono aiutarci a migliorare il modo in cui lavoriamo.

8) Smetterla di disprezzare l’Italia. Quando ci si mette a dieta, la prima cosa da fare è smetterla di disprezzare il proprio corpo. Allo stesso modo, quando si vuole cambiare un paese, la prima cosa da fare è smetterla di denigrarlo.

reblog dal blog di Francesca Cavallo

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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Scritto da chef

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