Mentre in TV e nelle sedi di potere continua il teatrino mediatico dei giochi di forza, risulta sempre più evidente che, per sopravvivere, il sistema deve cambiare radicalmente.
Non c’è nessuna ragione perché le ricche risorse di talento, capitale sociale, potere organizzativo di una società tecnologicamente avanzata come la nostra vengano unicamente impegnate, come ora, in una ricerca di profitto che va contro il sociale.
Tuttavia, fra le buone intenzioni e i risultati pratici c’è l’organizzazione.
Il nostro problema più grande non è una scarsità di idee (fra i miliardi di menti interconnesse nella Rete ce n’è in abbondanza) né di proposte concrete (nuovi sviluppi tecnologici come l’open manufacturing, l’open biotech e le energie alternative sono in fase di sviluppo rapidissimo) e neanche di persone disposte a impegnarsi per un cambiamento concreto (molte firme di questo blog sono una testimonianza che nella classe manageriale globale, e in particolare fra le leve più giovani, è in atto da qualche decennio un cambiamento valoriale che spinge sempre più persone verso un impegno nel settore sociale, nelle ONG o nel social business, anche a costo di dover rinunciare a uno standard economico elevato).
Quello che manca è un nuovo modello organizzativo: una nuova filosofia d’impresa che sia capace di capitalizzare queste risorse e di dar loro una nuove direzione.
Si staranno sicuramente facendo i primi, grandi, importanti passi con una prima agenda dedicata alla social innovation e con relativi bandi sicuramente interessanti per chi si occupa di innovazione sociale. Tuttavia,la preoccupazione è che mentalmente, soprattutto i decision maker (politici, giornalisti, amministratori, etc.. etc…) siano ancora dentro al ventesimo secolo.
Parole molte di moda come StartUp. SmartCity, Big Data, impatto aumentato aiutano molto a dare fascioni a post ed articoli di giornale ma sono dei contenitori inutili, anzi possono essere addirittura dannosi, se non vengono letti al’interno di una cornice concettuale diversa da quella con qui abbiamo governato il rapporto tra società ed economia sino ad oggi.
Tutto ciò implica la necessità di una nuova filosofia, non solo di mercato, ma degli attori sociali nella loro totalità: societing.
Termine inventato da Bernard Cova e reso famoso in Italia da Giampaolo Fabris che con Adam Arvidsson abbiamo voluto ricaricare (per questo reloaded) di nuovi significati nello scrivere e curare Societing Reloaded. Pubblici produttivi e innovazione sociale (Egea 2013, 288 pagg.,25 euro).
Una filosofia fondata sulla necessità di lavorare con i legami sociali, di «fare società» producendo nuove relazioni produttive che riescano sia a contribuire al bene comune, sia a generare quella legittimità e quell’entusiasmo necessari per il funzionamento e la competitività di un’impresa, sta già emergendo come un modo di aprire nuove fonti di valore e come un imperativo centrale per la sopravvivenza a lungo termine.
Un libro che cerca di voler trovare nel presente i semi di una crisi che non ha futuro, proprio mentre si diffonde la percezione che l’economia corporativa spesso agisca come un blocco all’innovazione, rafforzando il controllo sui saperi comuni con brevetti e altre forme di proprietà intellettuale; oppure che la direzione dell’innovazione promossa dalle grandi società non sia più quella giusta.
Abbiamo veramente bisogno di modelli di automobili ancora più raffinati, di hamburger al pecorino o di nuove collezioni autunno-inverno che solo minimamente si differenziano da quelle dell’anno scorso? Non sarebbe meglio investire di più sulle energie alternative o le automobili elettriche?
Ma, soprattutto, vale ancora la pena pagare un conto sempre più salato in termini di distruzione ambientale e ineguaglianza sociale, a causa di una continua espansione dei piaceri consumistici, in sé sempre meno eccitanti?
Quanto allo Stato, almeno quello italiano pare palesemente incapace di risolvere o anche solo interessarsi ai problemi sociali del paese, che peraltro si fanno sempre più gravi: disoccupazione giovanile, precarietà economica ed esistenziale, mancanza di servizi, montagne di immondizia e degrado ambientale.
Per quanto riguarda l’innovazione, anche quella tecnologica e commerciale, l’Italia manca di un sistema di ricer- ca e sviluppo nazionale, e gli istituti dedicati che rimangono stanno per chiudere, anche quelli di eccellenza internazionale. L’unica innovazione sociale è promossa da piccole imprese che lavorano in modo individua- le, indipendenti dal sistema. Per questo, secondo i dati di WIPO (World Intellectual Property Organization) l’Italia produce tanti brevetti quanti la Svizzera, ma con una popolazione quasi nove volte più numerosa.
Questa situazione di stasi è però solo apparente. Dietro la passività delle strutture economiche e politiche del paese sembra emergere una nuova ondata di creatività ed energia, particolarmente fra le generazioni più giovani, quelle sotto i quarant’anni.
Molte di queste persone sono cresciute nel nuovo ambiente informatico in cui Internet e i social media diventano parte integrante della vita quotidiana e sono perciò abituate a nuovi modi di reperire informazioni, di mettersi in contatto con altri e collaborare.
Molti hanno vissuto a lungo all’estero, per scelta o necessità, e sono stati in contatto con quelle nuove forme di socialità che si sviluppano in centri creativi come Londra, New York o San Francisco: sono coloro i quali hanno attraversato la fine delle grandi ideologie, dei movimenti sociali e della politica di scontro; e hanno sviluppato un approccio più pragmatico all’azione politica, enfatizzando l’intervento concreto e contingente.
Molti hanno passato qualche anno nel mondo delle imprese, inseguendo una carriera manageriale, e si sono «rotti le palle» scoprendo la natura di quel mondo e le scarse possibilità che esso offre, non solo in termini di autorealizzazione, ma anche etici, e cioè riguardanti la possibilità di dare un contributo positivo al mondo che ci circonda. Queste generazioni concepiscono l’innovazione sociale come un nuovo modo di fare impresa nel senso classico/umanistico del termine, e cioè di intraprendere un progetto che fa la differenza.
E proprio per creare un ponte tra questi due mondi apparentemente molto separati che nasce Societing Reloaded, che intende trovare i caratteri di un nuovo patto generazionale facendo chiarezza sui termini e, ribadiamo, cercando di lavorare ad un nuovo approccio filosofico per governare alcune rivoluzioni in atto che poco hanno senso con i vecchi modelli basati esclusivamente su una matrice consumistica.
L’espressione innovazione sociale, per altro, può esprimere molti significati.
Può, infatti, semplicemente rimandare a un’innovazione socializzata, che crea nuovi saperi tecnici o organizzativi; ma anche a un’innovazione sociale, ossia un approccio pragmatico ai problemi sociali, che applica tecniche manageriali per risolvere problemi nel presente, senza badare molto all’orizzonte ideologico o alla correttezza politica.
Innovazione sociale implica inoltre l’impiego di nuove tecnologie e soprattutto di nuove forme organizzative, dove l’organizzazione dal basso convive con una «socialità di rete» e dove le stesse relazioni sociali diventano strumenti da mobilizzare nell’attività imprenditoriale; dove nel bene e nel male le differenze fra vita lavorativa, vita politica e vita privata ten- dono a scomparire.
In questo senso l’innovazione sociale comporta un nuovo modo di organizzare l’attività umana, nel lavoro come nell’impegno politico, vita activa, un modo dove – per usare la terminologia di Hannah Arendt – le potenzialità della vita vengono messe all’opera in un impegno di natura etica e non morale.
Quindi, e soprattutto, l’innovazione sociale si candida come fattore promettente per una necessaria riorganizzazione delle relazioni produttive e sociali.
Grazie ala partecipazione di molti tra i più brillanti pensatori economici contemporanei come Caterina Bandinelli, Michel Bauwens, Francesca Buttara, Anna Cossetta, Bernard Cova, John Grant, Salvatore Iaconesi e Oriana Persico, Jaromil, Riccardo Maiolini, Massimo Menichinelli, Vincenzo Moretti Bertram Niessen, Irenangela Smargiassi e Barret Stanboulin
Il volume farà chiarezza su molte parole alla moda come Social Innovation, startUp, monete alternative, peer to peer economy, smart city, stampanti 3d, storytelling, netnografia, dando loro un senso che vi mostrerà come già nel presente ci sono gli anticorpi per uscire da una crisi che non ha futuro.
ALEX GIORDANO