“Cambia il modo in cui guardi le cose e le cose che guardi cambieranno”. Questa celebre fase di Wayne Dyer mi è venuta in mente leggendo il recente dibattito sul tema del momento, la spending review.
Mentre è in corso l’esame parlamentare della legge di stabilità, l’attenzione si sta giustamente concentrando sulle scelte che farà il Governo per ridurre i costi del settore pubblico,nell’ottica di liberare risorse per incentivare lo sviluppo e tagliare le tasse.
A dire il vero, non si tratta di un dibattito nuovo. Da anni, i governi di ogni colore politico provano a ridurre la spesa pubblica, cercando di eliminare gli sprechi, evitare le inefficienze e disincentivare i fenomeni di tipo corruttivo e clientelare.
I risultati finora raccolti sono stati piuttosto scarsi, se è vero che all’inizio del mese di ottobre il Governo ha nominato un nuovo “Commissario straordinario per la spending review”, Carlo Cottarelli, con il compito di rivedere la spesa pubblica, eliminare gli sprechi e migliorare la qualità dei servizi resi ai cittadini.
Negli scorsi giorni, il neo-Commissario ha subito presentato il suo programma di lavoro per il prossimo triennio con l’indicazione di obiettivi precisi: riduzione delle uscite per circa 32 miliardi (circa 2 punti di PIL) da realizzarsi entro il 2016. A questo risultato si dovrebbe arrivare attraverso il lavoro di un gruppo di persone (che sarà definito nei prossimi giorni) che coadiuverà il commissario, coordinando i contributi di una ventina di tavoli tematici.
Nonostante nel documento venga fatto cenno alla trasparenza dei lavori e al fatto che potranno essere attivate consultazioni con le parti sociali, il metodo scelto non sembra particolarmente innovativo rispetto a quello già sperimentato in passato. Fino ad oggi, infatti, nonostante intenti sempre lodevoli, alla fine si è sempre optato per tagli orizzontali alla spesa (per la sanità, l’istruzione, i beni culturali, ecc.) che si sono tradotti in riduzione dei servizi, lasciando immutati molti sprechi.
Per evitare di ripetere gli errori del passato ed effettuare un’efficace revisione della spesa, è quindi necessario cambiare radicalmente sia il metodo seguito sia le soluzioni da adottare per risparmiare.Nel 2013, infatti, è impossibile pensare che il processo appena avviato non metta al centro le tecnologie digitali e la rete.
La vera spending review si fa con la rete
Dal punto di vista del metodo, il programma di Cottarelli non convince perché figlio di una concezione e di una logica del secolo scorso: la costituzione di tavoli composti da alti burocrati e esperti– come dimostrato dalle esperienze precedenti – non è di per sé efficace per la realizzazione di una spending review che funzioni.
Sarebbe auspicabile che nel processo di revisione della spesa (che terminerà nel 2016) sia adottato un metodo al passo con i tempi, che preveda l’utilizzo della rete e il coinvolgimento dei cittadini attraverso il crowdsourcing.
La consultazione pubblica, naturalmente, dovrebbe essere preceduta dalla pubblicazione degli open data aggiornati relativi alla spesa.Questo consentirebbe di aprire il processo in modo realmente trasparente (ma fuori dalla retorica della “democrazia diretta” e dello streaming), facendo arrivare al commissario proposte di revisione che vadano oltre quelle su cui – da anni – i partiti (e i saggi) sono “incartati” (come l’abolizione delle province e la riduzione del numero dei parlamentari), garantendo una maggiore legittimazione democratica dei risultati della spending review.
La revisione della spesa ha possibilità di successo solo se se diventa un processo collettivo, in cui tutti acquisiscono la consapevolezza della limitatezza delle risorse e possono partecipare all’individuazione dei “tagli” da effettuare.
Una spending review partecipata ha diverse giustificazioni. A prescindere dal fatto che nessun gruppo di lavoro ha il monopolio delle buone idee, un percorso di questo tipo consentirebbe di marginalizzare l’incidenza delle lobby che nel corso degli ultimi anni ha impedito di realizzare molte riforme e permetterebbe al Governo di individuare, in modo agevole, i reali bisogni (e le preferenze) dei cittadini.
Infatti – contrariamente a quello che si pensa – la revisione della spesa pubblica non è un’attività meramente tecnica, ma è soprattutto politica in quanto la scelta sul “cosa” e “come” tagliare implica un ordine di priorità e una visione del Paese che non può essere demandata a saggi (per quanto bravi siano).
Altrove, in numerosi paesi che si sono cimentati con la revisione della spesa prima (e più efficacemente) di noi, è già successo.
Nel Regno Unito, ad esempio, in occasione dell’ultima spending, sono state condotte due distinte consultazioni: una per tutti i cittadini e una riservata ai soli dipendenti pubblici (nell’ambito della quale sono pervenuti circa 66.000 suggerimenti).
Negli Stati Uniti, invece, il Governo ha innanzitutto ampliato notevolmente la trasparenza sulla spesa pubblica, attraverso i dati pubblicati sui siti USASpending.gov e ITDashboard.gov (che hanno consentito di raggiungere un risparmiodi 3 miliardi di dollari all’anno).
Sempre negli USA, è stato lanciato il contest “Save Award”, arrivato già alla quinta edizione, in cui il Presidente Obama (che è solito ripetere che “le migliori idee vengono fuori da Washington”) premia personalmente il dipendente pubblico che presenta l’idea più efficace di riduzione della spesa (nel corso degli anni, ne sono state pervenute oltre 85.000, alcune delle quali già recepite dall’Amministrazione).
Soluzioni simili potrebbero essere adottate anche nel nostro Paese, visto che Cottarelli ha auspicato il “contributo dell’opinione pubblica”, affermando che sta aumentando il numero di cittadini che gli scrive (chissà a quale indirizzo, dal momento che sul sito del MEF non risulta presente alcun indirizzo e-mail del Commissario).
Ma consultare i cittadini non significa riceverne le missive. È necessario porre in essere forme di ascolto strutturato dell’opinione pubblica, in modo differente rispetto a quanto fatto in occasione dell’ultima consultazione condotta sulla spending review (ai tempi del Governo Monti).
Allora, solo 80.236 delle circa 151.536 proposte pervenute dai cittadini venne effettivamente esaminato dal Governo che non ha mai adeguatamente specificato né il metodo utilizzato né l’impatto sulle decisioni finali dell’esecutivo (per tacere del fatto che la consultazione non venne preceduta dalla pubblicazione dei dati relativi alla spesa).
Le consultazioni pubbliche non possono tradursi nella semplice raccolta di suggerimenti, ma devono essere adeguatamente pianificate e comportare un confronto tra decisori e cittadini sulle decisioni, prima che queste vengano pubblicate in Gazzetta Ufficiale.
La vera Spending Review si fa con la digitalizzazione della pubblica amministrazione
Ma dalla lettura del documento presentato da Cottarelli emerge un altro dato: la scarsa rilevanza assegnata ai temi del digitale e dell’innovazione per la riduzione della spesa. Infatti, uno dei gruppi di lavoro – quello dedicato all’ “Organizzazione amministrativa” – si occuperà anche dei benefici derivanti dal “completamento dell’Agenda digitale”. Si tratta di una perimetrazione alquanto fuorviante giacché, per quanto importante, l’Agenda digitale non esaurisce affatto le misure relative alla dematerializzazione della PA da cui potrebbero derivare ulteriori efficientamenti e risparmi.
Il Governo che ha fatto dell’impulso all’Agenda digitale una bandiera (attraverso il lavoro della task force di Caio) non può non cominciare proprio dall’eliminazione della carta e dall’utilizzo delle nuove tecnologie per raggiungere significativi risparmi.
Numerosi studi e ricerche, da tempo, ci dicono infatti che:
1) Attraverso la fatturazione elettronica (obbligatoria del 2008, ma non ancora operativa) la PA potrebbe risparmiare circa 1,6 miliardi all’anno, oltre a ricavare ulteriori economie stimate tra 4,4 e 6,7 miliardi di euro per interessi di mora che gli uffici pubblici pagano a causa dell’inefficienza ed inadeguatezza delle attuali procedure (dati dell’Osservatorio Fatturazione elettronica e dematerializzazione del Politecnico di Milano)
2) Attraverso un’adeguata formazione Informatica dei dipendenti pubblici si potrebbe conseguire un risparmio di circa 1 miliardo di euro all’anno (dati AICA-SDA Bocconi)
3) impiegando appieno le soluzioni ICT, le strutture sanitarie potrebbero risparmiare circa 6,8 miliardi di euro l’anno (dati dell’Osservatorio ICT in Sanità del Politecnico di Milano)
4) Una compiuta dematerializzazione consentirebbe di ottenere risparmi pari a 43 miliardi di euro l’anno di cui
4 miliardi di euro l’anno di soli risparmi per gli approvvigionamenti15 miliardi di euro l’anno di risparmi legati all’aumento di produttività del personale24 miliardi di euro l’anno di risparmi sui “costi di relazione” tra PA e imprese, grazie a uno snellimento della burocrazia (dati dell’Osservatorio Fatturazione elettronica e dematerializzazione del Politecnico di Milano).
Certo, si tratta di numeri che devono essere presi con le pinze (anche perché non sempre questi risparmi sono automatici, ma devono essere accompagnati da investimenti e formazione), ma è indubbio che nel 2013 non sia più tollerabile che gli uffici pubblici spendano ingenti somme per mantenere archivi cartacei oppure per inviare raccomandate.
Attraverso la rete e il digitale, si può fare molto di più della riduzione dei 32 miliardi di euro previsti dal Governo, dando un significativo contributo all’efficienza della macchina burocratica ed accrescendo la fiducia dei cittadini nel processo di revisione della spesa.
Commissario Cottarelli, cosa ne dice?