L’edilizia è il settore di applicazione più avanzato della stampa 3D. Amica dell’ambiente. Perché può sostituire plastica e cemento con materiali biologici e derivati dal riciclo dei rifiuti, abbattendo sprechi e scarti industriali da smaltire.
La stampa 3D come strumento per l’edilizia
Un solo dispositivo disegna e realizza le varie parti di differenti tipi di edificio anziché diversi macchinari. Via buona parte di ruspe, ponti mobili e relativa manodopera: in futuro ci sarà bisogno di pochi tecnici progettisti al posto di squadre di muratori e imbianchini. La stampa 3D è già utilizzata per tirar su in pochi giorni rifugi per popolazioni sfollate da terremoti e alluvioni. Quelli dell’organizzazione no profit New Story, costruiti con una stampante per calcestruzzo 3D Vulcan II – in collaborazione con Icon, start up texana di robotica – resistono a ogni calamità e sono tutt’altro che emergenziali nel design: il modello abitativo più piccolo – 45 mq divisi in 2 camere, bagno, cucina e soggiorno – costa al produttore 4 mila dollari circa.
Creativa. Perché elabora forme geometriche difficili o costose da produrre altrimenti. Come la “Lotus House” fabbricata dagli studenti dell’Università di Washington a St. Louis o la nuova versione della “Curve Appeal”, appena finita di costruire in Tennessee dalla multinazionale Watg: un design esteticamente avvincente ma soprattutto termodinamico visto che le superfici multistrato, composte da 28 diversi pannelli, mantengono gli interni a temperature confortevoli in ogni stagione.
Una nuova frontiera
Non solo case, palazzi ma interi centri urbani sono edificabili esclusivamente in stampa 3D. E l’esempio non viene da Sydney o Singapore ma da Massa Lombarda, in provincia di Ravenna, dove dal 2016 Wasp, casetta dopo casetta, sta fondando il “Villaggio di Shamballa”, che ha raggiunto oggi diverse centinaia di mq grazie a una gigantesche stampanti 3D BigDelta, alte 12 metri, large 7, con bracci meccanici regolabili ed estendibili fino a 6 metri.
La tecnologia dell’italiano Enrico Dini è la più eco-sostenibile al mondo utilizzando per le mura un composto di fango, argilla o terreno grezzo insieme a scarti naturali della filiera del riso: materiale disponibile sul posto, a basso impatto e altamente isolante. Ogni mini “loft” di 30 mq gli costa 900 euro.
A braccetto con la stampa 3D, l’immobiliare ha fatto passi da gigante più d’altri business e naturalmente c’è casa e casa. Già nel 2015 l’inventore Andrey Rudenko – che l’anno prima aveva costruito un castello in miniatura in Minnesota e contende al nostro Dini il titolo di pioniere delle “concrete house printer” – aveva curato l’estensione di un’ala del Lewis Grand Hotel di Manila: 130 mq di stanze da letto, con salotto e Jacuzzi, stampate in poco più di 100 ore con una soluzione di sabbia e cenere vulcanica.
Le pareti sono risultate più forti e impermeabili delle altre dell’albergo, grazie al miglior legame tra strati. Nel 2016 è entrato del Guinness “Office of the Future”, il primo ufficio commerciale interamente stampato in 3D. Progettato dallo studio Gensler e sede della Dubai Futures Foundation, è servito da luce, acqua, telecomunicazioni e aria condizionata: 240 mq al prezzo di 140 mila dollari. Una struttura prodotta in 17 giorni dalla Winsun a Shanghai, spedita a pezzi negli Emirati e installata in loco in altri due giorni. La società cinese ha costruito in patria anche un’area di bagni pubblici in 3D, elegante e moderna, con servizi speciali differenziati per bambini e disabili. Perfino gli arbusti che lo circondano sono scolpiti in 3D, e in tutto ci ha messo un mese. La risposta della competitor nazionale HuaShang Tengda è stata una villa a due piani di 400 mq stampata direttamente sul posto, a Pechino, in 45 giorni: secondo i test sismici può resistere a una scossa di 8 gradi Richter.
Ma il più grande edificio in assoluto stampato in 3D è stato inaugurato l’anno scorso, ancora a Dubai, da Apis Cor. Due piani di 650 mq realizzati in loco in condizioni ambientali estreme: 10 mq in più dell’ufficio amministrativo del Comune edificato sempre nel 2019 dalla compagnia russa nella metropoli emiratina. Le autorità locali prevedono che un quarto di tutti i suoi edifici sarà fabbricato in 3D entro il 2030. Apis Cor è tra le aziende leader nel comparto e mira a costruire infrastrutture perfino sulla Luna. La sua stampante 3D mobile richiede 30 minuti per l’installazione anche in superfici con dislivelli, copre un’area totale di 132 mq e crea pareti strato per strato adoperando calcestruzzo miscelato. Con la NASA progetta di stampare alloggi utilizzando la regolite o “polvere lunare”, cioè le risorse presenti direttamente sul satellite senza dipendere da quelle provenienti dalla Terra. La già citata Winsun punta ai grattacieli e vuole realizzarne uno dimostrativo a Shanghai alto 100 metri e con 200mila mq abitabili: i cinesi, che possiedono 151 brevetti e ad oggi hanno venduto più di 100 case, hanno vari prototipi visitabili al di fuori della fabbrica principale, incluso un condominio di 6 piani pronto all’uso.
Non solo edilizia
Altre realtà, come Xtree usano per la stampa un enorme braccio robotico, in grado di elaborare oggetti di 3×5 mt senza riposizionarli: il suo calcestruzzo impiega solo 20 ore a polimerizzare e raggiunge una resistenza a compressione di oltre 80 MPa. Entro il 2020 la start up francese dovrebbe completare 5 case di residenza popolare a Reims e lanciare una piattaforma digitale per collegare i clienti alla comunità di ingegneri e architetti 3D. La belga CyBe Construction ha stampato perfino una barriera corallina artificiale in 3D. E poi la romagnola Wasp, con le sue grandi “gru” 3D e gli eco stabili a km 0, dotati di ambienti e murature climaticamente efficientate da miscele “bio”, che ottimizzano riscaldamento e condizionamento durante l’anno.
Ciò che accomuna tutte queste eccellenze è il margine di sviluppo tecnologico su cui investire e sperimentare ancora, in termini di riduzione dei costi, miglioramento delle performance e ampliamento del bacino di utenti. Al netto degli scettici che ancora dubitano del nuovo mercato, parliamo di strumenti relativamente nuovi – entrati da una decina d’anni nell’uso industriale – ma già capaci di opere impressionanti. Finora – tra manodopera, materiali e smaltimento degli scarti – i costruttori sostengono d’aver dimezzato i costi di una struttura equivalente, ma più inquinante, eretta in maniera tradizionale. Il futuro è segnato, ora si tratta solo di incentivarlo.
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