Startup e programmatori, cambiamo metodo per trovarci e lavorare insieme

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Da sempre, amici e conoscenti che hanno una startup mi contattano per chiedermi dei programmatori.

Credits: doctorspin.me

Qualche settimana fa, dopo aver ricevuto diversi messaggi di questo tipo nella stessa giornata ho postato su Facebook, senza nemmeno rifletterci tanto, questo status:

Decine di startup che mi contattano per chiedermi sviluppatori.Decine di sviluppatori che dicono di non trovare lavoro.Abbiamo un problema.

Dentro di me temevo il flame ma speravo in qualche feedback costruttivo sul tema che, tra l’altro, in questi giorni è molto caldo nella “scena italiana”. Fortunatamente così è stato: con qualche centinaio di commenti e qualche intervento illustre, si è generato un interessante dibattito sulla questione che credo sia interessante condividere.Di solito quando si parla di quest’argomento, ci sono due grandi fazioni: gli startupper accusano i programmatori di non avere le skill necessarie; i programmatori accusano le startup di offrire stipendi troppo bassi.

Avendo amici in entrambi le categorie, ci sono state molte reazioni di questo tipo, ma tra i commenti, a sorpresa, è emersa anche una potenziale terza categoria: l’università e la formazione.

PREGI E DIFETTI DELLE STARTUP IN CERCA DI SKILL AVANZATE

Come accennato in precedenza, molti accusano le startup di offrire stipendi troppo bassi o, in alcuni casi, solo work for equity. Diversi sono stati concordi con questa linea di pensiero. Emblematico è stato il commento di Claudio Gagliardini, esperto di marketing e comunicazione nonché autore e blogger:

Sognare è bellissimo, ma le startup devono capire che “giocano” nel mondo reale e che le persone che coinvolgono non stanno giocando, ma vivendo. Vanno pagate, prima di ogni altra cosa e tutelate, piuttosto che sfruttate.

Personalmente, credo che il work for equity da solo non sia abbastanza. Proporre a un dipendente di lavorare (anche per lunghi periodi) senza uno stipendio è impensabile. In quel caso, probabilmente, stai cercando un socio e non un dipendente.

Credits: www.facebook.com

Sulla questione stipendi, sarebbe scorretto negarlo. Molte startup offrono stipendi troppo bassi e cercano persone “superskillate”. Qui le questioni sono due.Innanzitutto si dovrebbe sempre fare una precisa identificazione del tipo di figura che si cerca (junior vs senior) perché, di conseguenza, si riesce a valutare se uno stipendio è basso o meno. I junior vanno pagati da junior, ma se crescono deve crescere, di conseguenza, anche lo stipendio.L’altra questione è puro buon senso: non facciamo di tutta l’erba un fascio.

Ci sono tante offerte in giro sicuramente imbarazzanti, ma ci sono anche tante startup serie che offrono contratti e condizioni da fare invidia alle grandi aziende. Emblematico è il caso di AdEspresso (citato spesso in quella discussione) che da mesi ormai cerca programmatori PHP in gamba e non riesce a trovarne.

PRETESE E RAGIONI DEI PROGRAMMATORI CHE CERCANO LAVORO

Dall’altro lato, le startup che hanno difficoltà a trovare bravi programmatori, anche mettendo sul piatto contratti interessanti, si difendono dicendo che la qualità in giro è molto bassa. Tesi sostenuta da parecchi amici imprenditori. Significativo, a tal proposito, è il commento di Gennaro Varriale, fondatore e CEO di Buzzoole:

Non nascondiamoci dietro ai compensi… spesso manca la qualità e l’esperienza

Qualità ed esperienza. Due requisiti apparentemente non impossibili ma che, a quanto pare, scarseggiano. Anche in questo caso vorrei guardare il problema sotto due luci diverse.Da un lato ci sono i neolaureati che, molto probabilmente scarseggiano in esperienza, ma hanno (grazie alla formazione appena conclusa) una qualità sulla carta molto alta. Per loro i casi sono due: o si accetta di fare la classica “gavetta”, firmando contratti non da sogno ma che permettano almeno di iniziare a fare esperienza, oppure si procede per conto proprio avviando qualche progettino personale. Questi ultimi sono molto sottovalutati: pochi studenti capiscono l’importanza di contribuire ad un progetto open-source o di lavorare su un “puppy project”. E, vi prego, non nascondiamoci dietro al fatto che durante gli studi sia impossibile fare altro. Il tempo si trova. Tutti i programmatori in gamba che conosco l’hanno sempre fatto.

Credis: playkicksmash.com

L’altro aspetto del problema è su chi possiede sia l’esperienza che la qualità. Come mai ci sono figure di questo tipo che hanno difficoltà a trovare lavoro? Beh, forse la risposta è nel commento di Riccardo Scandellari, blogger ed esperto di personal branding:

Se la domanda non incontra l’offerta il problema risiede nelle caratteristiche del prodotto o nel prezzo. Il prodotto in questo caso è il professionista [ndr]

Non bisogna sottovalutare il personal branding e la capacità di saper comunicare e “saper vendere” se stessi. Troppi programmatori pensano che quest’aspetto non li riguardi e che sia solo appannaggio di figure “business”. Non è assolutamente vero! Avere un proprio blog, un profilo Linkedin curato, un account GitHub o StackOverflow di alto livello può fare la differenza in un mercato competitivo come quello moderno.

L’UNIVERSITÀ NON STIA A GUARDARE

Ultima, ma non per importanza, abbiamo l’Università. Tra i tanti commenti di accuse reciproche tra startup e programmatori qualcuno ha tirato in ballo la “questione formazione” e il ruolo delle Università in questo scenario. Rappresentativo è il commento del prof. Vittorio Scarano, docente d’informatica all’Università di Salerno:

Così come non tutti sono pronti/portati a fare startup, anche non tutti gli sviluppatori sono pronti a lavorare per una startup. Parte è colpa del sistema formativo (ahi!) che non chiarisce quanto queste possibilità sono reali e soddisfacenti

Ancora una volta, anche in questo caso, preferirei scindere la faccenda in due problemi separati.Da un lato abbiamo le accuse che startup e studenti muovono alle università di non preparare adeguatamente i laureandi al mondo del lavoro. Programmi non al passo con i tempi, uso di tecnologie e linguaggi poco richiesti sul mercato, e così via. Sarebbe sbagliato negarlo. Molti neolaureati sono completamente a digiuno di temi attualissimi come i Big Data, le API, i database NOSQL, le tecnologie Cloud. Non hanno idea di come lavorare con un framework come Angular, Simfony o Django. Se entriamo nel mondo del gaming la lista sarebbe infinita. Sono, purtroppo, delle rare eccezioni gli atenei che decidono di mettersi al passo con i tempi e inserire nei loro programmi contenuti di questo tipo.L’altro aspetto, di pari importanza, è quello dell’orientamento. Si parla ancora troppo poco di startup all’interno delle università. E non intendo di startup in quanto alternativa al lavoro dipendente, ma di startup in quanto alternativa alle “grandi aziende”. Questo impatta, inevitabilmente, sulla mentalità degli studenti che, comunemente, preferiscono fare uno stage da 600 euro in aziende di consulenze invece che passare lo stesso tempo in una startup e lavorare con tecnologie come Ruby on Rails o NodeJS che su un curriculum potrebbero fare la differenza.

CONCLUSIONI PROVVISORIE

Solitamente evito le conclusioni impacchettate alla fine di un post, ma in questo caso mi sembra necessario. Come avrete capito, non pretendo di avere la soluzione a questo problema. La mia riflessione su Facebook e questo post sono nati con l’intento di cercare di analizzare il problema e, con l’aiuto esterno, capire le diverse luci sotto le quali dovrebbe essere guardato.

Una cosa è certa: il problema non è da una sola parte, ci sono delle colpe da tutti e tre “i lati” e se è necessario un cambio di mentalità e di approccio, deve esserci sia da parte delle startup che da parte dei programmatori.

Fermo restando che forse l’Università ha tutte le carte in regola per colmare questo gap e cercare di avere un ruolo più attivo nella fase di orientamento dei neolaureati.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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