Startup innovative e raccolta di capitali online: gli aggiornamenti sulla Legge Sviluppo 2.0

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La scorsa settimana si è conclusa la consultazione sulla bozza di regolamento proposta da Consob, per la raccolta di capitali attraverso portali online (cosiddetto ‘equity crowdfunding’), secondo quanto previsto dalla legge 221/2012, ex-Decreto Crescita.

Nelle scorse settimane ho partecipato ad un paio di gruppi di lavoro sull’argomento, tra cui quello della Camera di Commercio di Milano e ho avuto modo di confrontarmi con vari colleghi, consulenti, startup ed attori del mercato. Sono emersi diversi punti di vista, ma soprattutto molti commenti in merito alla legge nel suo complesso.

Innanzitutto le buone notizie.

La principale è che la legge sulle startup innovative, il lavoro della Task Force di Passera e il dibattito pubblico che ne è conseguito hanno dato un maggiore grado di visibilità e più attenzione complessiva al fenomeno startup a tutti i livelli (investitori, stakeholders, istituzioni, imprenditori).

Moltissimo interesse ha acquistato anche il crowdfunding che, da ‘fenomeno Americano’, ora comincia ad essere preso seriamente in considerazione anche in Italia, per tutte le implicazioni positive sullo sviluppo che potrebbero derivare.

Nel complesso ho riscontrato pareri condivisi anche sul buon lavoro svolto dalla Consob. Entrerò nel merito dei principali commenti alla bozza di regolamento successivamente, ma è doveroso prima sottolineare che la Consob ha fatto in pochissimo tempo un ottimo lavoro di divulgazione, consultazione e discussione pubblica, coinvolgendo centinaia di attori e stakeholders e producendo la bozza in tempi assolutamente record.

Positivo anche il lavoro fatto da Unioncamere nel mettere online in poco tempo un registro per le imprese innovative online ben fatto, funzionale e trasparente.

Infine occorre rilevare che diversi pezzi della legge 221 non sono ancora stati implementati e quindi è assolutamente azzardato tirare delle conclusioni sul provvedimento nel suo complesso.

Tra questi in particolare il registro degli incubatori certificati e, soprattutto, gli incentivi fiscali per gli investitori.

Nel dibattito sul regolamento dell’equity crowdfunding, ho però registrato due ordini di problematiche. Un primo set di questioni relative alla bozza nel suo specifico, ma soprattutto una serie più ampia di problematiche collegate più all’impostazione generale della legge Crescita 2.0.

In merito al Regolamento, i temi principali che ho avuto modo di riscontrare personalmente sono riassumibili in tre aree:

– La distinzione di ruoli e responsabilità tra i diversi attori (emittente delle azioni, portale per la raccolta di capitali online e sottoscrittore). E’ un tema molto delicato se si considera che un gestore di portale potrebbe avere online centinaia di offerte sottoscritte da decine di migliaia di micro-investitori.

Per capire il problema vorrei fare un esempio concreto: il diritto di recesso da parte di un sottoscrittore di un’offerta. Nel caso in cui ci siano informazioni nuove (che possano avere un impatto materiale sulla società emittente), il portale deve informare prontamente i sottoscrittori, in modo da consentir loro di esercitare il diritto di recesso. Ma non può essere corresponsabile se non ha cognizione di tali informazioni, che invece sono conosciute solo dall’emittente. E’ un tema connesso anche al livello di ‘due diligence’ a cui deve essere tenuto un operatore di portali in normali condizioni di mercato, rispetto al rischio potenziale di liabilities legali e contenzioso. E’ sempre vero che il portale si potrà rivalere sull’emittente in caso di condotta scorretta, ma quando ci riuscirà probabilmente sarà già morto. E’ importante quindi che ci siano distinzioni chiare su ruoli e responsabilità e che, siano altrettanto chiari gli adempimenti in termini di due diligence da parte del portale;

– La quota degli investitori professionali. C’è chi ritiene che il 5% sia troppo; chi troppo poco (personalmente la penso così, in questo specifico caso. Mentre ritengo che per le PMI non dovrebbe esistere). C’è chi ritiene (molti startupper) che andrebbe del tutto eliminata in quanto non è in linea con lo spirito stesso del crowdfunding, centrato sulle persone/reti sociali e non sugli intermediari. Soprattutto risulta molto delicato il perimetro di chi dovrebbe essere qualificato come ‘investitore professionale’. Il settore delle startup innovative è un campo molto specialistico, rischioso e difficilmente comprensibile ai non tecnici.

Il fatto che sia necessario avere un investitore professionale nel capitale serve a fornire un maggiore livello di tutela ai risparmiatori che, in qualche modo, possono anche valutare la reputazione dell’investitore oltre all’offerta in sé. Tutto questo è abbastanza vero, ma funziona, però, solo se gli investitori ‘a monte’ sono effettivamente qualificati per offrire questo effetto di attenuazione del rischio. Altrimenti rischiano di essere inutili e controproducenti, creando una sorta di illusione ottica. Anche sul tema di chi dovrebbe essere qualificato come investitore professionale le opinioni sono divergenti tra chi ritiene che la selezione dovrebbe essere forte e chi, invece, vorrebbe allargare la categoria di ‘investitori professionali’ che possono accompagnare una campagna di crowdfunding.

Infine, sono emersi notevoli dubbi in merito al fatto che l’investitore istituzionale sia un prerequisito di ammissione all’offerta, cosa che può creare disallineamento e potenziale conflitto di interessi con i sottoscrittori online. Una possibile soluzione in questo caso sarebbe definire che occorre la sottoscrizione dell’offerta per almeno il 5% da parte di investitori professionali perché questa si concluda.

– Il collegamento con il mondo bancario. Ho riscontrato dubbi su questo aspetto, sia sul fronte dei portali di crowdfunding sia da parte delle banche stesse. Da un lato “il fatto di dover avere come partner necessario un partner bancario diminuisce molto le capacità del crowdfunding di essere un canale di finanziamento alternativo per le PMI, e rischia di diventare un canale di raccolta alternativo per le banche”. Dall’altro le banche sono soggetti ad una normativa (MIFID) molto stringente quando propongono investimenti a risparmiatori, rendendo eccessivamente oneroso e troppo rischioso il ruolo che viene proposto dalla legge in questa modalità. Mariano Carozzi, fondatore di Prestiamoci, ha suggerito una soluzione proponendo di esplicitare che le banche possono operare in modalità ‘execution only’.

E’ chiaro a tutti che questa è una sorta di sperimentazione e tutti si aspettano, prima o poi, l’estensione della raccolta di capitali online anche alle PMI (d’altra parte sarebbe difficile giustificare il perché non dovrebbe essere fatto). I dubbi di molti riguardano però i paletti imposti dalla legge e che rischiano di determinare il fallimento dell’esperimento generando un effetto boomerang su tutto il settore delle startup.

Sono temi che evidentemente Consob non ha possibilità di modificare e che richiederebbero una manutenzione della legge

1) La definizione di “startup innovativa” definisce un perimetro che lascia fuori società realmente interessanti (ad esempio se fai e-commerce è difficile riuscire ad avere i parametri richiesti) e fondamentalmente è ritagliata su una definizione che assomiglia più a quella di un piccolo spinoff universitario. Questo chiude l’accesso al mercato per società che potrebbero essere interessanti proposte di investimento e la apre a moltitudini di PMI mascherate da startup. Sono passati diversi mesi dalla messa online del registro e ad oggi ci sono in Italia 618 startup innovative, un numero veramente piccolo, insufficiente per creare un vero mercato. Il rischio qui è di un rapido ‘effetto bolla’ che porti investimenti eccessivi su società che poi non vanno da nessuna parte. Un investitore che mette soldi in una startup innovativa si aspetta un vero potenziale di crescita significativo a fronte del maggior rischio che si sta prendendo.

2) La liquidità del crowdfunding. Non è stato previsto un meccanismo per rendere liquide le azioni sottoscritte online. Si possono comprare e vendere queste azioni? Dove? Come? Il portale può sviluppare un mercato secondario per i propri sottoscrittori? Le banche possono farlo? Insomma qui il dubbio più grande è sul senso di investire dei soldi su qualcosa che è praticamente impossibile rivendere. Alcuni hanno paragonato questo approccio al gioco d’azzardo online. Altri hanno sostenuto che forse le azioni andrebbero emesse solo al portatore (un interessante pensiero laterale, anche se avrei dei dubbi rispetto ai temi di anti-riciclaggio). Sono approcci che credo miopi: la raccolta di capitali online non è gambling e non deve esserlo; deve essere finanza per lo sviluppo.

3) Il funzionamento dell’accesso agli incentivi. Per avere accesso agli incentivi, semplificazione e crowdfunding gli amministratori delle startup devono mantenere i parametri fissati. Questa impostazione apre un alea di incertezza abbastanza significativa, poiché nell’auspicabile ipotesi che la startup vada bene e cominci a crescere, può diventare complicato rispettare i parametri con il rischio di trovarsi improvvisamente a perderli

La legge Sviluppo 2.0 è stato l’ultimo provvedimento del governo Monti. Ho seguito tutto il processo di formazione di questa norma, oltre alle precedenti iniziative di legge di matrice Parlamentare: Mosca-Lorenzin prima e Gentiloni-Palmieri-Rao dopo. E’ stato deludente vedere che dopo tanto dibattito e lavoro, il Decreto Sviluppo non ha avuto la possibilità di essere discusso, corretto ed affinato nelle Commissioni e nel processo parlamentare. E’ evidente che molti dei difetti nell’impostazione di questa norma sono collegati proprio al fatto che non c’è stata la possibilità di discuterlo e cambiarne neanche una virgola, perché ormai il tempo del Governo era scaduto.

E’ stato recentemente stimato che la dimensione del crowdfunding (non equity) è di una raccolta pari in Nord America a 1,2 miliardi di dollari e che questa quasi raddoppierà quest’anno. Tutto da capire l’impatto del JOBS Act a partire dal prossimo anno, ma se questi sono i numeri, stiamo parlando di una forza non trascurabile che nel giro di pochi anni potrebbe rivitalizzare l’economia e diventare un elemento centrale per lo sviluppo, la finanza e la competitività di un Paese.

Spero che il nuovo Governo e il nuovo Parlamento riprendano rapidamente in mano il filo di questo discorso così delicato ed importante, anzi fondamentale, per ricominciare a crescere.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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