C’era una volta un medico tedesco che faticava a guadagnarsi da vivere. A quel tempo essere medico non era certo facile. Eravamo ancora lontani dalle scoperte che avrebbero portato alla nascita della medicina moderna. I due secoli precedenti avevano visto la popolazione mondiale piegarsi di fronte ai flagelli epidemici. Non esisteva un sistema medico organizzato – le scoperte erano affidate a veri e propri colpi di genio da parte di individui straordinari. La medicina era una disciplina ancora in fase esplorativa.
Se non si trattava del miglior periodo storico per essere medico, lo era ancora di più per il malato. Sebbene lontana dagli inizi in cui era praticata dai barbieri, la chirurgia era ancora ai propri albori — basata sulla comprensione di complicate “correlazioni clinico-patologiche” e sulle autopsie.
I trattamenti erano grezzi, inefficaci — rischiosi. Sottoporsi ad un intervento chirurgico significava “scamparla” solo in una frazione dei casi. Mentre non farlo risultava quasi sempre fatale.
Enrique Simonet , “La autopsia”
Facile comprendere perché il popolo non riponesse grande fiducia nella medicina del tempo. Non solo i risultati non erano incoraggianti, ma si era all’oscuro di cosa stesse accadendo, ignari dei rischi a cui ci si stava sottoponendo: per i pazienti si trattava di un vero e proprio salto nel buio. Il terreno era fertile per chi fosse in grado comprendere la situazione.
Giovanni Domenico Tiepolo , “Il Ciarlatano”
In contrasto con la medicina classica – quella insegnata nelle università e basata sul meticoloso metodo scientifico – cominciavano a comparire i primi “ciarlatani” della storia.
Falsi farmacisti o medici itineranti, illetterati, costretti a muovere il proprio palco di città in città per evitare di essere smascherati, proponevano cure miracolose, rimedi ed antidoti innoqui (tanto da provarli in pubblico) nelle più variegate sfaccettature
E’ il caso del celebre olio di serpente e degli elisir di lunga vita. “Medici” promettevano prognosi semplicemente osservando le urine. Altri si appellavano come “curatori del cancro senza operazioni”. Il popolo ignaro e ignorante era alla loro mercé.
Ma torniamo al nostro Samuel. Arrotondava i proventi dalla sua professione medica traducendo testi medici e scientifici dal francese e dall’inglese. Ma con una moglie e 4 figli non era certo sufficiente. Decise di lasciare la cittadina dove lavorava come medico e di mettersi in viaggio per concentrarsi nella traduzione.
D’altro canto il suo studio era in declino e non si riteneva certo soddisfatto dalle pratiche (come i salassi) dei colleghi. Traducendo libri su libri e contribuendovi con proprie correzioni e riflessioni venne in contatto con tutte le idee e le tecniche proposte dalla letteratura medica del tempo. Potè valutarle, criticarle, dissezionarle , rifiutarne ancora più fortemente gli insuccessi e il distaccamento emotivo. Cominciò a sviluppare una propria visione. Stava lentamente e instancabilmente accumulando conoscenze su nuovi, diversi, approcci alla medicina, nuove metodologie più radicali e rivoluzionarie. La sua era una completa rivoluzione intellettuale.
Il Nostro, ancora in disperato bisogno di soldi, si apprestava a diventare uno dei maggiori esponenti di una nuova tendenza: il rigetto della medicina tradizionale, ma anche della ciarlataneria classica, ignorante e volgare
Il risultato fu la creazione di nuove discipline, sviluppate da individui colti e informati, costruite per essere vere e proprie alternative credibili alla medicina tradizionale. Traducendo un lavoro di un collega sulla febbre intermittente (che oggi conosciamo come Malaria), Samuel non riusciva a convincersi che la chinchona potesse essere un valido medicinale per tale condizione. Decise di provarla su di se’. Si rese conto che assumendola regolarmente e in piccole dosi stava generando su se stesso gli stessi sintomi, seppur più lievi, della febbre intermittente: la stessa malattia per cui ne è la cura. Fu una rivelazione. La sua scoperta riconfermava il vecchio principio “similia similibus curentur”: il simile cura il simile.
Esempi di rimedi omeopatici
Si imbarcò in una impresa decennale volta a dimostrare la sua teoria. Più di 2000 furono le sostanze in grado di indurre sintomi che testò anche su parenti ed amici. Ma quando cominciò a testare sui malati quelle sostanze che sperava avrebbero mimato i sintomi della loro malattia — e quindi l’avrebbero curata — notò che invece i sintomi peggioravano. Cominciò a diluire le sostanze, sempre di più, sperando di risolvere il problema.
Fu con gran sorpresa che scoprì che aumentando il grado di diluizione (e quindi diminuendo la quantità di sostanza presente nel rimedio), l’effetto curativo sul paziente aumentava!
C’era un problema. I principi fondanti della chimica postulavano la necessità di una quantità sufficientemente grande della sostanza per determinare un effetto misurabile. Samuel introdusse il “principio degli infinitesimi” — totalmente in contrasto con le leggi della Chimica. La preparazione, diluita in maniera così estrema da ridurre al minimo la possibilità di trovare anche una singola molecola della sostanza curante, manteneva il proprio potere medicinale: rimaneva come “forza spirituale”. Ad ogni diluizione, agitando con forza il prodotto, il potere del medicinale non solo veniva mantenuto, ma addirittura potenziato.
Dopo 15 anni di studi Samuel pubblicò il suo “Saggio su di un nuovo principio per scoprire le virtù curative delle sostanze medicinali”, in cui illustrava i principi della nuova disciplina da lui introdotta. Per curare un paziente sarebbe stato sufficiente somministragli quella sostanza che, se assunta da un individuo sano, causerebbe i suoi stessi sintomi, ma estremamente diluita. Attento osservatore della società e degli umori del popolo, decise di rivoluzionare il paradigma del rapporto tra medico e paziente: le visite sarebbero state lunghe ed empatiche, tutti gli aspetti della vita del paziente sarebbero stati esaminati. Questo nuovo approccio “olistico” si focalizzava sul paziente, quello “ortodosso”, classico, vecchio, sulle patologie. Il singolo rimedio prescritto avrebbe considerato la totalità dei sintomi e della situazione psicologica. La sua disciplina sarebbe stata una a cui il popolo avrebbe voluto affidarsi senza remore. E differentemente dai miracoli proposti dai ciarlatani di strada, la sua disciplina si sarebbe basata sulle scoperte di un medico, sulla pura osservazione, sulla sperimentazione sul campo e su testi di riferimento.
Mentre i medici tradizionali la deridevano, la nuova disciplina aveva un successo spaventoso. Samuel ricominciò a praticare, ma senza chiedere un soldo per trattare i malati. Per circa 10 anni continuò con il suo lavoro di traduzione. Ma quella fase della sua vita era ormai terminata. Tornò nella città dove era diventato medico: era il momento di insegnare ciò che aveva appreso. La sua non fu un’esperienza positiva. Le sue lezioni spesso degeneravano in lunghi monologhi e invettive contro la medicina tradizionale. Ignorato dagli studenti e attaccato dai colleghi, decise di lasciare la sua posizione dopo soli 8 anni.
Christian Friedrich Samuel Hahnemann, 1755–1843
Nel 1843, a Parigi, Samuel Hahnemann moriva milionario grazie ai proventi della disciplina da lui ideata, proposta come cura per tutte, o quasi, le malattie gravi e non, ma comunque offerta gratuitamente ai poveri. Ormai l’avrete intuito, abbiamo raccontato la storia dell’omeopatia.
L’omeopatia non finì con la morte di Hahnemann: trovò nuova vita negli Stati Uniti. Secondo l’omeopata Jeffrey Migdow, all’alba del XX secolo più di 100 erano gli ospedali omeopatici, 22 le scuole omeopatiche ed un migliaio le farmacie; un quarto dei medici la praticavano e circa metà della popolazione ne faceva uso. Così come in Europa, anche oltreoceano l’opposizione dei medici “ortodossi” fu feroce, soprattutto a causa del notevole successo che ebbe sul mercato. Se prima erano rare le dispute etiche e deontologiche tra colleghi, i medici che anche solo cercassero un consulto presso un omeopata rischiavano l’espulsione dall’ordine americano. Non appena un omeopata venisse nominato professore presso qualche dipartimento di medicina, l’ordine dei medici minacciava di non riconoscere i laureati presso quell’Università.
Era guerra totale. Nel 1910 vennero richiesti nuovi standard di insegnamento nelle Università — cominciava il declino dell’omeopatia. Le scuole omeopatiche furono costrette ad ampliare i propri insegnamenti in materia di patologia, fisiologia, chimica, e altre discipline mediche “ortodosse”. Nel 1923, le porte di solo 2 delle 22 scuole omeopatiche rimanevano aperte.
I nuovi omeopati cominciarono a trattare i singoli sintomi, e non la totalità dei sintomi. Utilizzavano diluizi estreme, molto maggiori di quelle consigliate da Hahnemann. I rimedi non risultavano più efficaci. I pazienti cominciarono a cercare altre soluzioni
Anche perché la medicina “ortodossa”, quella vera, non era più quella grezza, inefficace, barbara di un tempo. Già nel corso del secolo precedente spariva la figura del medico-genio: le scoperte diventavano il frutto della collaborazione dell’intera comunità scientifica, ormai composta da individui specializzati e non più tuttologi. L’avanzamento delle conoscenze era proceduto imperterrito; nascevano i congressi per dare ordine all’incredibile numero di ricerche in corso.
Negli anni ’50 l’omeopatia era pressoché scomparsa. Ma già dagli anni ’70 tornava come una delle medicine alternative più popolari in occidente
Ne abbiamo sentito tutti parlare. Se come me siete nati negli anni ’90, con altissima probabilità l’avrete anche provata, almeno da bambini. E’ una disciplina basata sull’invenzione di un ex-medico che alla fine del ‘700 si svegliò di malumore e che è la base di aziende che hanno fatturato più di 600 milioni di euro solo nel 2013. E la troviamo nelle farmacie, anche se è una pratica scientificamente non riconosciuta. Con “omeopatia” non si intende “fitoterapia”, che invece si basa sull’utilizzo di piante medicinali con proprietà terapeutiche. Un po‘ di ragione, alla fine, i critici dell’omeopatia ce l’avevano. Certo, dopo la morte di Hahnemann i suoi seguaci ebbero almeno l’accortezza di rivisitarla in chiave più appetibile per la scienza “ortodossa”. Ignorarono il fatto che Hahnemann considerasse la scabbia la causa di tutte le malattie. Cercarono di giustificare la presenza della “forza spirituale” introducendo la “memoria dell’acqua”, che non sono mai riusciti a dimostrare. Così come il “principio degli infinitesimi”, che – seppur ricordando in qualche modo la base dei vaccini e dell’abituazione sensoriale – rimane senza alcun fondamento. Se così non fosse, d’altronde, cadrebbero probabilmente tutte le leggi della fisica e della chimica, grazie a cui qualcosa siamo riusciti a fare finora. Il principio del “simile cura il simile”, manco a dirlo, non trova riscontri sperimentali.
Vi voglio fare un esempio. Immaginiamo di voler preparare l’aspirina omeopatica. Si comincia prendendo una parte (diciamo una goccia) di “aspirina” e la si diluisce con 99 gocce di acqua (e non dimentichiamoci di applicare 100 succussioni). La preparazione avrà la sigla 1CH nella denominazione, che sta per 1 diluizione centesimale di Hahnemann.
Quello che succede a questo punto, secondo gli omeopati, è che le molecole di aspirina cominceranno ad “insegnare alle molecole d’acqua come comportarsi da aspirina” (sarebbe la memoria dell’acqua). Ma questa proprietà non esiste. E poi, scusate, perché solo l’aspirina dovrebbe comunicare le proprietà all’acqua e non anche il vetro o la plastica del contenitore o i possibili contaminanti? Perché non comunicano anche le sostanze presenti nella bocca (come quelle prodotte dai batteri orali) e nel nostro organismo una volta ingerito il rimedio? In ogni caso, 1CH non è una preparazione abbastanza potente. Si ripete il procedimento, prendendo 1 goccia di aspirina 1CH e mescolandola con altre 99 gocce d’acqua o alcol; 100 succussioni e avremo l’aspirina 2CH. Avanti così fino alle preparazioni più pregiate e potenti, che arrivano anche a 30CH o 200CH. Senza annoiarvi con i conti, vi fornisco alcuni dati per rendere l’idea.
4CH, una preparazione ancora poco diluita e quindi poco potente, corrisponde alla concentrazione consentita di arsenico nell’acqua potabile statunitense – non ci sono molte molecole di principio attivo. A 12CH abbiamo circa il 60% di possibilità di trovare 1 (una) molecola di principio attivo (essendo partiti da 1 mole di principio attivo). Alla diluizione centesimale successiva, 13CH, non rimane nessuna molecola della preparazione originale: da qui in poi si comincia, in pratica, a diluire acqua con altra acqua. Arriviamo a 30CH, la diluizione spesso consigliata dallo stesso Hahnemann: per trovare una singola molecola di principio attivo, dovremmo somministrare 2 dosi di rimedio al secondo a 6 miliardi di persone per 4 miliardi di anni. Vi invito a rileggere questa frase. Oppure, con un’altra analogia, in una preparazione 30CH, una molecola di principio attivo viene diluita in una massa d’acqua sferica con un raggio di più di 60 anni luce. Corrisponderebbe a più di 30 volte le dimensioni del Sistema Solare. Delle pregiatissime preparazioni 200CH è meglio non parlare. Perché non ci siano effetti collaterali causati dall’elevatissima potenza delle diluizioni più alte, non ci è dato sapere.
Finito? Magari! Siamo alla parte migliore. Avrete forse notato che spesso i farmaci omeopatici sono venduti come palline bianche. Ecco, la preparazione omeopatica (leggere: “l’acqua”) viene praticamente spruzzata su delle palline di zucchero e lasciata evaporare. Il potere magico che prima era nella preparazione omeopatica è ora trasferito alle palline di zucchero!
Il granulo così ottenuto (quindi una semplice pallina di zucchero che non contiene nulla) non solo causerebbe un effetto (ma solo quello scelto dagli omeopati) dovuto alla caffeina (che non c’è più) memorizzata dall’acqua (che non c’è più) ma questo sarebbe opposto a quello causato normalmente dalla molecola sull’uomo, questo perché possiederebbe proprietà sconosciute, tramite le quali agirebbe su strutture sconosciute con un meccanismo sconosciuto. Sottolineiamo che l’aspirina omeopatica non userebbe l’acido acetilsalicilico: per ottenere un effetto analgesico, antipiretico e antiinfiammatorio in un rimedio omeopatico dovremmo usare qualcosa che causa dolore, febbre e infiammazione.
L’omeopatia un effetto, indiscutibilmente, ce l’ha: si chiama effetto placebo
“Per effetto placebo si intende una serie di reazioni dell’organismo a una terapia non derivanti dai principi attivi, insiti dalla terapia stessa, ma dalle attese dell’individuo. […] (E’) una conseguenza del fatto che il paziente […] si aspetta o crede che la terapia funzioni, indipendentemente dalla sua efficacia “specifica”. L’effetto placebo contribuisce non poco anche all’efficacia di un (farmaco o di una terapia) […]. L’effetto placebo è fortemente influenzato da una serie di variabili soggettive quali la personalità e l’atteggiamento del medico […] nonché le aspettative del paziente. Perché l’effetto placebo sia registrabile è necessario che il paziente sia cosciente di poter ricevere un trattamento (di cui ignora naturalmente la natura placebica)” [da Wikipedia].
I meccanismi alla base dell’effetto placebo sono oggi compresi e ricondotti a risposte psicologiche e psicosomatiche: il cervello, in risposta alle aspettative del paziente, invia segnali al resto dell’organismo che modificano la percezione del dolore, la risposta immunitaria e cardiovascolare, i livelli ormonali.
Se l’effetto placebo parte come suggestione psicologica, il risultato può essere anche legato a cambiamenti a livello biologico, e quindi possibilmente virare verso la guarigione
Dunque, l’effetto placebo non è assolutamente da sottovalutare, tanto che per dimostrare il funzionamento di un nuovo farmaco, è necessario dimostrare che questo abbia un effetto maggiore di un placebo. Anche se un omeopata prescrive o somministra semplicemente acqua e zucchero, il paziente è convinto di assumere un farmaco che lo aiuterà a guarire. L’approccio olistico e personale degli omeopati amplificano l’effetto, garantendo un maggior benessere del paziente durante la visita. Ovviamente, se il paziente sapesse di stare per assumere palline di zucchero, non potrebbe esserci effetto placebo.
Gli omeopati non sono d’accordo. L’omeopatia è più di un semplice placebo. Per questo numerosi studi hanno cercato di dimostrarlo, comparando cure omeopatiche e placebo
Due rapporti estremamente dettagliati redatti da apposite commissioni nominate dai governi inglese (nel 2010 ) e australiano (di quest’anno) hanno raccolto e analizzato la totalità dei dati ritenuti affidabili, per cercare di mettere fine ad una disputa che sembra non finire mai. Entrambi hanno dimostrato come non ci sia ragione di pensare che l’omeopatia abbia un effetto diverso dal placebo. Se siete interessati ad approfondire vi consiglio di leggerli. Sono scritti in maniera fruibile e chiara. Per onor di cronaca, nel 2011 un report svizzero mostrava un effetto significativamente maggiore di un placebo dell’omeopatia. Tuttavia, uno scrutinio accurato dei metodi di analisi dei dati ha messo in luce delle faziosità volte ad evidenziare solo i dati a favore dell’omeopatia. Solo uno degli autori del report svizzero non era un omeopata o un medico alternativo.
Credo che il punto dato per assodato, ovvero che omeopatia e placebo coincidano, sia un altro. Possiamo considerare il placebo un approccio terapeutico valido? A questa domanda, devo ammetterlo, non sono riuscito a trovare una risposta soddisfacente
In primis non lo è assolutamente per patologie gravi o che rischiano di peggiorare in patologie gravi. Non lo è nemmeno per patologie virali o batteriche serie. L’omeopatia non curerà mai il cancro. Tuttavia, spesso il nostro corpo è in grado di guarire da solo dall’influenza o dal raffreddore. L’effetto placebo potrebbe aiutarlo. Dopo l’abuso di antibiotici degli ultimi anni dobbiamo prepararci ad una situazione critica. Se da un lato dovremmo prestarci ad una riflessione sull’uso che facciamo dei farmaci nel caso di condizioni lievi, dall’altro il codice deontologico include l’irrinunciabile dovere del medico di ottenere un consenso informato da parte del paziente. Consenso informato ed effetto placebo non sono compatibili. Esistono casi in cui il placebo è considerato valido e in cui il medico può prendere una decisione in questa direzione, ma non nella routine. Mi piacerebbe sentire l’opinione di alcuni medici in merito.
In Italia un medico omeopata ha conseguito in tutti i casi una laurea in medicina e chirurgia. Onestamente, mi rifiuto di credere che un laureato in materie scientifiche possa credere ai principi alla base dei prodotti omeopatici. L’ostinarsi a rivendicarli potrebbe essere un modo per mantenere vivo l’”incantesimo” del placebo. Se così non fosse, i pazienti non potrebbero essere “ingannati”. Mi piace pensarla così.
Forse un giorno scopriremo di sbagliarci. Scopriremo qualcosa che ci farà credere in quei principi che, guardando indietro, sembrano creati ad hoc per giustificare la creazione di un ex-medico. Ma fino a quel momento l’omeopatia sarà solamente placebo.
JASON FONTANA