“Giù al nord”, come diceva un film francese di qualche anno fa, si può pensare di monitorare le emergenze con droni e sensori e salvare vite durante le alluvioni. Giù al nord si può pensare di pensare al bene della collettività sfruttando le innovazioni tecnologiche.
Giù al nord, precisamente in Picardia, un ricercatore precario e testardo nato giù al Sud, in Calabria, può pensare di rendersi utile alla collettività facendo ricerca sperimentale e ripagando chi gli ha dato quell’opportunità che, giù al sud, non volevano o potevano dargli. Qui non parliamo di Castellabate, di “Benvenuti al sud” e del successo cinematografico di Siani e Bisio: qui parliamo di futuro, di ricerca, e della storia di successo di un italiano che grazie alla sua resilienza ha trovato la sua Calabria e la sua Italia qualche chilometro più a nord.
Anzi, giù a nord.
La storia di Enrico Natalizio non è quella del tipico ricercatore universitario: è un ingegnere informatico atipico, con la passione per il calcio e per l’impegno sociale. Enrico crede nel valore della ricerca ed è tra quelli che nel 2008 si battono contro la riforma Gelmini: “Paradossalmente – spiega – la mia decisione di partire è nata proprio lì. Il disinteresse italiano per università e ricerca, l’apatia dei miei colleghi che non volevano incidere politicamente, il malcostume diffuso nelle nostre università, mi ha fatto maturare l’idea che non era il caso di fare ricerca in italia”.
Così, Enrico si mette in gioco e partecipa ad una call di ricerca internazionale per un post-doc a Lille, nell’ambito delle reti di sensori mobili…
“Ho vinto e da subito l’impatto è estremamente positivo.
Mi trovo in un posto in cui se sei bravo te lo dicono ed hai la possibilità di valorizzare le tue idee e i tuoi progetti”. Il team cresce, aumentano tra l’altro anche i ricercatori italiani assunti (molti dagli atenei di Cosenza e Reggio Calabria, per via dell’affinità sulle tematiche di ricerca) ma cambiano i progetti di ricerca e quelli di Enrico non sono più così rilevanti all’interno del dipartimento. “Ho capito dunque che era arrivato il momento di fare altro. In un anno ho fatto 8 concorsi, cosa impensabile se penso che in Italia in otto anni ne ho fatto nemmeno uno: ne ho vinti due e ho scelto il Laboratorio Heudyasic e il Politecnico di Compiègne: sono arrivato in Picardie nel settembre del 2012 e l’impressione è stata da subito ottima: management estremamente valido, altissima considerazione dei miei progetti e delle mie competenze, tanta disponibilità e voglia di mescolare le proprie competenze”.
Fu dal caso, e dall’osservazione di quanto stava accadendo in Italia, che nacque l’idea per il suo progetto di ricerca: “Ero in Politecnico da circa un anno e stavo comprando casa. Firmai, tra le altre cose, una dichiarazione per il rischio ambientale: vicino casa c’è un fiume, l’Oise, che spesso straripa creando forti disagi. Nello stesso momento, in Italia, vedevo le immagini delle alluvioni in Toscana e in Sardegna. Pensai da subito a come potermi rendere utile per fare qualcosa per questa regione”.
L’occasione arriva grazie ad un progetto di ricerca regionale per i ricercatori stranieri di alto profilo arrivati da poco in Picardia: nasce così l’idea di lavorare al monitoraggio ambientale rendendolo smart, flessibile alle esigenze e monitorabile da lontano, abbandonando elicotteri e altri sistemi. “La Picardia aveva da poco fatto importanti investimenti strutturali per mettere in sicurezza gli argini e i fiumi, ma si utilizzavano ancora gli elicotteri o le osservazioni sul posto per vedere lo stato dei fiumi. Per questo ho deciso di ribaltare l’approccio e di automatizzare questo processo”.
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Notte e giorno dunque dedicati al progetto: il laboratorio parte per creare un sistema di sensori ancorati ai fiumi che analizzano dati come temperatura, velocità dei corsi d’acqua, umidità e altezza del corso d’acqua.
Questi dati vengono mandati a dei droni, che raccolgono queste informazioni e le integrano con riprese e scatti costanti, inviati ad una centrale di controllo in remoto o facendo la spola nei casi più particolari.
“I primi 18 mesi di lavoro sono stati assolutamente entusiasmanti: il progetto è piaciuto tanto, così come l’idea di poter salvaguardare vite umane e abbattere i costi di monitoraggio abbandonando gli elicotteri. Ci mancava però una parte, il fattore umano: abbiamo dunque deciso di inserire la partecipazione attiva dei cittadini”.Questa parte prevede il coinvolgimento di chi abita lungo il fiume: un vero e proprio progetto di crowdsensing attraverso smartphone e tablet: “Nella gestione delle emergenze o nella prevenzione di queste, la partecipazione dei cittadini è importantissima: se attualmente vediamo un tronco che blocca un corso d’acqua, magari facciamo la foto e la condividiamo su Facebook. Perché non caricarla su un’app e permettere ai tecnici di intervenire e rimuovere il tronco prima che possa causare problemi? Solo se coinvolgiamo i cittadini in questo processo ce la faremo a sconfiggere uno dei più grossi problemi di questa regione. Noi siamo lavorando a questo: da un lato sensori e droni, con una prototipazione che ci permetterà di creare questi elementi ad un costo bassissimo, dall’altro app e comunicazione social con i cittadini. Se ci pensiamo si potrebbe fare anche in Italia o in qualsiasi altra parte del mondo; il problema è che qui hanno investito strutturalmente su fiumi e argini, da noi siamo ancora un po’ indietro”.
Già, farlo in tutto il mondo: lo sguardo va immediatamente alla Calabria flagellata ogni anno dalle emergenze maltempo, delle strade crollate e mai ricostruite, dei paesi isolati.
Quella Calabria così simile alla Picardia, regione agricola ma testarda, che crede nella ricerca tanto da dedicarle una giornata con le massime autorità e la presentazione dei progetti più interessanti. La differenza è che la Picardia i talenti esteri li attrae, mentre la Calabria li forma, li prepara per il mercato e li abbandona, costringendoli a partire e ad arricchire altre regioni e nazioni.
Quello di Enrico è un progetto ambizioso, tanto che insieme a lui adesso lavorano un ricercatore serbo e una stagista dal Benin, che si occupa dei sistemi di trasmissione.
Quando gli chiediamo dell’Italia e del suo lavoro su innovazione e ricerca, stringe le spalle: “La potenzialità e la forza, la resilienza dei ricercatori italiani e di chi vuole cambiare questo paese è fortissima: anche qui all’estero regge ancora lo stereotipo dei ricercatori italiani d’eccellenza, perché effettivamente la nostra preparazione è di altissimo livello. Serve però fare rete, comunicare meglio quello che succede: si fa tanto, nascono realtà e startup interessanti, ma dobbiamo emergere di più. E poi, servono investimenti: qui ricerca e innovazione sono al primo posto, è come se la Calabria investisse il 50% del suo bilancio in ricerca. Però, chissà, mi piacerebbe tornare indietro se le cose cambiassero. Penso ai miei colleghi prima di partire, avevamo idee valide e di successo, ma ci mancavano investimenti e la mentalità giusta. Le nuove generazioni spero facciano meglio”.
FRANCESCO RENDE
* Francesco Rende è giornalista e Digital Champion per San Marco Argentano (CS)