Storia di un’azienda che rischia di fallire per un fax della Regione

default featured image 3 1200x900 1

Rischiare di vedere sfumare un progetto di innovazione perché l’ufficio della Regione non risponde alle email e si affida ancora a fax e raccomandate. Succede in Italia, nel 2012. Questa è la lunga storia di Riccardo D’Angelo, imprenditore siciliano che non si arrende alla burocrazia. E che ha una proposta per aiutare le imprese che vogliono beneficiare dei fondi europei.

Mi chiamo Riccardo D’Angelo, classe 1967, artigiano informatico. Nasco, vivo e lavoro a Mirabella Imbaccari, un piccolissimo centro di poco più di 5000 abitanti nella provincia di Catania. Capito qui, in questa pagina del vostro sito per caso, dopo una giornata conclusa con amarezza, nella lotta quotidiana contro l’inefficienza e il disinteresse di organismi e istituzioni, impegnati, quello si, a renderti la vita di imprenditore ogni giorno più difficile.

Ho una gran voglia di urlare la mia frustrazione, farmi sentire, capire perché viviamo in un paese bloccato. Avevo letto da qualche parte della possibilità di avanzare proposte al Ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, cerco sulla rete, mi ritrovo in una pagina, appunto la vostra, dove sono invitato a raccontare la mia storia. Mi fermo, spigolo tra le righe… le storie prendono forma – raccontare l’innovazione attraverso le proprie esperienze – inventare soluzioni ai problemi – non arrendersi mai.

Rifletto un attimo, l’eco delle frasi lette e delle mie esperienze si fondono. Ma non è proprio vero che per analizzare il proprio presente, lottare per il proprio futuro, bisogna riflettere sulla propria storia? E che condividere esperienze, amarezze e passioni con altri, che hanno vissuto, vivono e vivranno le stesse cose, può cambiare il copione già scritto da altri? Decido di entrare in contatto con voi, con la mia storia, di botto.

L’entusiasmo di un quindicenne

Da dove iniziare? Forse proprio dall’inizio, da quell’emozione ancora viva in me, quando ancora teenager, vidi comparire il risultato dell’equazione di secondo grado dalla mia prima calcolatrice programmabile Texas Instruments, dopo una notte passata nei tentativi di programmazione in notazione polacca inversa. O ancora, di quando al primo anno delle scuole superiori, tra l’affettuosa ilarità dei miei compagni, raccontavo entusiasta delle “mirabolanti” animazioni che riuscivo a tirar fuori dal mio Sinclair ZX81, alla risoluzione di 64 x 48 punti in bianco e nero.

Sarebbe bastato qualche anno per rifarmi un po’, grazie al mitico Commodore 64, con il quale sviluppai una tecnica di compressione per le immagini (che poi qualcuno da qualche altra parte avrebbe chiamato GIF) che utilizzavo per la visualizzazione di slide show promozionali del negozio di mia mamma, dove ogni giorno piazzavo in vetrina il televisore portatile in bianco e nero della loro camera da letto.

Non avrei mai immaginato che un giorno quel sistema di promozione nel punto vendita si sarebbe chiamato digital signage.

Posso affermarlo con certezza, queste prime esperienze informatiche sono quelle che nella mia crescita e formazione professionale avrebbero avuto un’influenza decisiva in tutte le successive scelte. Sin da allora, infatti, una voce dentro, che non mi avrebbe più abbandonato mi diceva: “Voglio fare cose con il computer che rendano più facile la soluzione dei problemi quotidiani”.

Nel frattempo, forse spinto da un’innata curiosità per le dinamiche del mondo, mi iscrissi a Fisica. Cercai di piegare il più possibile il mio piano di studi ai temi dell’informatica, sviluppando software per la simulazione di esperienze di fisica, per il controllo tramite PC di mini robot e terminando il mio percorso di studi con una tesi sperimentale per la datazione di reperti archeologici, scrivendo tutto il software di controllo degli apparati di misura ed analisi. Ma oltre alla voglia di osservare il mondo, in quegli anni, nasceva anche l’ambizione di cercare di cambiarlo.

Internet e la politica del fare

Erano i primi anni novanta, agli albori della cosiddetta seconda repubblica. Senza neppure accorgermene, mi ritrovai coinvolto, quasi per gioco, in un’avventura politica, insieme ad un gruppo di giovani amici, lontani da logiche partitiche e senza alcuna esperienza. Grandi ideali, entusiasmo ed ingenuità. Un’alchimia esplosiva. Dall’altra parte, a contendersi il governo del piccolo comune di Mirabella, si fronteggiavano i rappresentanti politici del cosiddetto “usato sicuro” di allora. Sbaragliammo tutti. Mi ritrovai a ricoprire l’incarico di assessore all’informatizzazione.

Alla prima ricognizione mi resi conto che in tutti gli uffici campeggiavano solo macchine da scrivere. Esisteva un solo PC, chiuso a chiave in una stanza, rigorosamente spento. In poco tempo il Comune era cablato in rete, PC e stampanti laser avevano occupato il posto del ticchettio delle macchine da scrivere e dello sbianchetto. Dopo poco, stipulai un contratto con Telecom Italia, per l’installazione di una linea dati “veloce” a 64 Kbps, si chiamavano circuiti diretti numerici (CDN). Tutti i PC degli uffici erano connessi ad Internet.

Nel contempo feci installare 8 linee telefoniche in ingresso che collegate ad una batteria di modem, ci fecero realizzare uno dei primi POP pubblici in Italia per l’accesso ad Internet, offrendo il vantaggio a tutti i nostri concittadini di poter navigare in tariffa urbana illimitata (non a tempo), privilegio allora riservato ai piccoli centri.

In poco tempo si contava oltre un centinaio di abbonamenti, forniti ad un prezzo simbolico. Nel piccolo CED del comune era un continuo sibilo di modem. Vedevo lampeggiare i led dei dati e fantasticavo con la mente, provando ad immaginare chi fosse connesso dall’altra parte, cosa stesse cercando, cosa stesse provando. Una certezza, mista a gioia ed orgoglio mi suggeriva che quella persona, grazie a me, stava scoprendo un nuovo mondo. Furono quattro anni entusiasmanti ma incredibilmente faticosi.

Maturai la certezza che la politica non sarebbe stata il mio mestiere. Non dovrebbe mai essere un mestiere, per nessuno. Quindi la domanda per me era, che cosa avrei fatto da grande?

Era da qualche tempo che mio papà cercava di convincermi che il mestiere dell’insegnante, fosse il migliore del mondo. Diceva che poter trasmettere agli altri la propria conoscenza sia una bellissima avventura, che nel frattempo, consente anche di avere molto tempo libero per curare le proprie passioni. Nel frattempo avevo già rifiutato una proposta per la STMicroelectronics di Catania, dove gli ingegneri e i fisici dell’Università di Catania allora entravano a frotte.

Dopo varie insistenze, non mi rimase che accontentare mio papà. Decisi di accettare di presentare la domanda di ammissione ai concorsi abilitanti per l’insegnamento che lui aveva premurosamente compilato. Ma a pochi metri dalla buca delle lettere, gettai la busta nel cestino della spazzatura. Era un pomeriggio di primavera del 1995 e avevo raggiunto la consapevolezza dell’idea che avrebbe caratterizzato la mia startup. Nasceva dalla certezza che un giorno Internet sarebbe stato il sistema operativo globale per tutte le applicazioni software.

Quell’entusiasmo che diventa un’azienda

Dopo qualche mese nasceva l’azienda. Da lì a poco sarebbero nati i primi software per la gestione e la pubblicazione di documenti e contenuti per la pubblica amministrazione, per il dialogo con i cittadini, per il commercio elettronico e la gestione di cataloghi dinamici. Tutto doveva essere facile e auto configurabile, senza l’apporto di specialisti di programmazione. In altre parole stavo creando quelli strumenti che presto si sarebbero chiamati Content Management System (CMS). Il modello di fornitura che proponevamo era come software erogato centralmente, senza alcun server in casa del cliente, in cambio di un abbonamento. Quello che poi si sarebbe chiamato SaaS (Software as a Service).

A quel punto servivano infrastrutture di elaborazione dedicate e servizi di data center. Nel nostro piccolo centro potevamo sperare ben poco, l’ADSL sarebbe giunta oltre 12 anni dopo, nel 2009. Quindi, alla ricerca di un partner tecnologico, iniziai la mia staffetta Catania – Milano, proponendo i nostri prodotti ad alcuni degli allora big nascenti del comparto Internet Italiano. Durante le mie trasferte a Milano, ad ogni demo, raccoglievo elogi, ammirazione e promesse. Era tutto quello che mi serviva per trovare le motivazioni, per proseguire il lavoro sempre più duramente, per condividere le mie aspirazioni in quell’ambiente avvincente, per essere parte del mondo che stava cambiando.

Ed il fatto che lo stessi facendo assolutamente gratis, per me era solo un dettaglio. Era sufficiente che mi mettessero un server a disposizione in uno di quei fiammanti data center. Se fosse stato necessario, mi sarei pure accomodato per la notte, tra un rack e l’altro. Ma di accordi, contratti, sempre aleggiati, nulla. Ogni volta una scusa, un ritardo. Questo nonostante gli investimenti non mancassero di certo. Vedevo aziende passare da decine a centinaia di dipendenti in pochi mesi, anche se stentavo a capire per far cosa. Sentivo parlare di acquisti milionari di software d’oltre oceano, con il loro carico di consulenti pagati a peso d’oro. L’entusiasmo era a mille, manager e dipendenti giravano con gli occhi stralunati pensando solo a quanto avrebbero guadagnato dalle loro stock option.

Ma quel mondo così “allucinante” si sarebbe dissolto presto. Avevo vissuto dentro una bolla di sapone, quella speculativa di Internet della fine degli anni novanta. E a me non rimaneva che precipitare per terra, senza neppure un paracadute. Tornai al paese con le ossa rotte, ma con la determinazione e la voglia di rialzarmi. Pensai, innovare è sopravvivere. Lavorando di notte si perfezionavano e ampliavamo i software e grazie alla creatività di Salvatore, il primo ed unico collaboratore di allora, durante il giorno si faceva di tutto, manifestini per i negozi, menu per i ristoranti, assemblaggio e rivendita di PC. Con gli spiccioli raccolti ci saremo pagati un server in un data center.

Un giorno mi imbattei per caso su un sito di Telecom Italia, dove campeggiava un annuncio per la ricerca di partner per soluzioni Internet. Feci l’iscrizione e dopo qualche mese fui contattato dal responsabile del programma per la Sicilia con l’invito a fargli visionare i nostri prodotti. Durante la demo ricevetti apprezzamenti e forte interesse. Ma a questo ero già abituato e proprio per lo stesso motivo abbastanza diffidente. Infatti, non ci volle molto a capire che tanto per iniziare, avrei dovuto acquistare un server ad un costo mostruoso (tre milioni e mezzo di lire al mese), con la promessa che saremmo stati coinvolti in azioni di comarketing per la commercializzazione dei nostri software.

Tentai l’azzardo e firmai il contratto capestro bloccato a tre anni. In realtà il nostro gruzzoletto non avrebbe coperto neppure i primi 6 mesi. Ma con quella potenza di calcolo alle spalle e l’ampiezza di banda a disposizione avrei potuto conquistare il mondo! Provai subito a proporre il software per la gestione di siti di e-commerce. Giungeva di tanto in tanto qualche richiesta, ma eravamo lontani dal recuperare i costi. Cominciai a girare tutti i comuni della Sicilia per proporre il software per la creazione e gestione di documenti online e il dialogo con i cittadini. Nulla di nulla.

Il salto verso l’innovazione

Nel frattempo però, qualcosa dalle parti di Telecom si muoveva. La strategia di investimenti nei loro data center induceva un’esigenza: Trovare applicazioni che dessero un valore aggiunto alle infrastrutture tecnologiche. Alla richiesta da parte di Telecom Italia della disponibilità di applicazioni in modalità Application Service Provider (ASP, come si diceva allora), noi eravamo pronti, in verità già da qualche anno. Riuscimmo a sventagliare un catalogo ricchissimo e durante l’attività di reclutamento che Telecom condusse in tutta Italia, tra centinaia di azienda candidate, noi fummo selezionati, gli unici in Sicilia, in compagnia di non più di altre 20 aziende in tutta Italia.

Gli stessi enti locali ai quali avevo fatto le mie proposte qualche mese prima, senza riuscire a cavare un ragno dal buco, su proposta di Telecom Italia, per gli stessi prodotti, acquistavano a occhi chiusi, pagando il doppio del valore. La cosa funzionava così bene, che in giro di poco tempo diventammo fornitori ufficiali di Telecom Italia e stipulammo un accordo quadro nazionale, con l’inserimento a catalogo ufficiale dei nostri software. Era l’inizio della fase startup 2.0.

Gli anni a seguire furono di crescita. Arrivammo ad un organico di dieci persone. Abbiamo realizzato nuovi uffici e aggiornato continuamente le nostre infrastrutture tecnologiche. Ma la dipendenza dal nostro big partner diventava sempre più preoccupante. Che cosa sarebbe successo se fosse venuto meno il rapporto di collaborazione? Si sa, le grosse aziende, più di altre, sono potenzialmente esposte a cambi di strategia ed eventuali crisi di mercato o eventi di acquisizione, si traducono spesso con ripercussioni negative nell’indotto.

Era il 2007 quando, sempre più preoccupato dell’univocità di questo legame, presi la decisione che avremmo dovuto affrancarci, anzi rifondarci. Nasceva l’idea di una nuova fase, di una startup 3.0. Avrei individuato un solo mercato di riferimento e un prodotto di punta, con il quale iniziare un percorso di crescita indipendente, per poi cercare l’espansione internazionale. L’ambito sarebbe stato quello del marketing digitale e di prossimità, della gestione e creazione di contenuti multimediali per display di Digital Signage distribuiti. L’idea del negozio della mia mamma, realizzata con il TV portatile in bianco e nero, sarebbe rinata, dopo 25 anni.

Ci buttammo a capofitto sul nuovo progetto, un anno, due anni, tre anni di sviluppo. Prima la versione in Italiano, poi in Inglese e quindi in Tedesco. Nel frattempo la crisi economica faceva il suo ingresso nello scenario mondiale. I fatturati con Telecom Italia cominciarono a precipitare, del 30%, del 50% del 70%. I miei timori di qualche anno prima si materializzavano giorno dopo giorno. Fortunatamente eravamo riusciti ad anticipare gli eventi e sul fronte del nostro nuovo prodotto i riconoscimenti iniziavano ad arrivare, così come i primi clienti, per la prima volta, tutti nostri: “Il primo software di digital signage al mondo disponibile per la piattaforma di cloud computing di Windows Azure”.

Microsoft ci dedica un caso di studio ufficiale e ci invita ad eventi e conferenze. “Il primo software dotato di interfacce applicative aperte multi standard per l’interfacciamento e lo sviluppo di sistemi di terze parti”. Un nostro partner sviluppa un modello per la comunicazione e la sicurezza nel posto di lavoro per gli stabilimenti Comau del gruppo Fiat. “Il primo software di digital signage per l’analisi video anonima, per la raccolta e la visualizzazione di informazioni su genere, età e reazione del pubblico e per lo sviluppo di contenuti dinamici mirati”. Un nostro cliente ne farà la tecnologia abilitante per un brevetto internazionale di scaffale intelligente, pronto per essere commercializzato in tutto il mondo.

Oggi, bloccati da un fax che non risponde

Nel frattempo tra il 2010 e il 2011 appaiono alcuni bandi per la concessione di agevolazioni in favore della ricerca, sviluppo ed innovazione, nell’ambito dei fondi della Unione Europea. Quale migliore occasione per sostenere ed accelerare la nostra azione? Redigo un progetto, un altro, e poco dopo un altro ancora. Si parla di Integrazione ed orchestrazione multicanale del ciclo di vita del marketing di prossimità nel punto vendita, nei servizi al pubblico, nei servizi sanitari di prossimità. Di analisi delle emozioni e della gestualità nel punto vendita, attraverso l’analisi anonima dei volti, di introduzione di nuove interfacce naturali, sviluppo di modelli predittivi e di fidelity sulla base dell’elaborazione dei flussi e delle dinamiche vendita.

Questi alcuni dei temi proposti nei progetti, dove coinvolgiamo anche il Dipartimento di Matematica e Informatica dell’Università di Catania. Non uno, non due, ma tutti i progetti proposti entreranno in graduatoria e verranno finanziati. Si aprono nuove prospettive, nuovi supporti finanziari, nuovo impulso, proprio durante la fase più critica della nostra storia. Il nostro business plan, del valore complessivo di un milione e trecentomila prevede il 40% dei costi a nostro carico.

A giungo 2011 facciamo partire le prime attività. Iniziamo le prime assunzioni, i primi investimenti. È previsto che il 50% del contributo sia concesso subito a titolo di anticipo. Ne facciamo prontamente richiesta. Inizia l’odissea. Il dialogo con gli enti preposti alla gestione delle procedure risulta subito difficile. Mancanza di uno sportello dedicato di supporto ai beneficiari, nessuna risposta alle email, solo estenuanti raccomandate AR. Ogni volta sono necessarie integrazioni, certificati, variazioni di postille sulla fideiussione, autocertificazioni, modulistica aggiuntiva. Una tranche di 150mila euro è bloccata da due mesi per colpa di un fax, con molta probabilità perché guasto.

Dopo un anno di attesa invano, abbiamo dato fondo a tutta la nostra liquidità, al fido e ai conferimenti personali. Questa volta le sfide non sono con le idee, con il mercato, con l’innovazione, ma contro la burocrazia e l’assenza di supporto alle aziende da parte dei soggetti preposti alla gestione dei fondi europei. Rilevo amareggiato la totale assenza dei canoni base e delle forme più elementari di buona prassi nella comunicazione tra questi soggetti e i beneficiari. Basti dire che le poche email che riceviamo, dopo estenuanti solleciti, giungono senza alcuna firma, senza alcun numero di telefono. Anzi, dopo le nostre rimostranze e insistenze, non arrivano più neppure risposte.

La Regione Siciliana, che sovraintende a tutto, non interviene, tra l’altro, caso paradossale, del tutto sprovvista di poste elettronica certificata al pubblico. Questa è la storia di questi giorni. La storia di un nuovo capitolo, di un nuovo “stop and go”. Stavolta però non siamo ad una fase evolutiva della nostra azienda, non siamo alla nuova release. Ho deciso che da oggi saremo una startup permanente, un’azienda in versione beta, continuamente in gioco, con la voglia di lottare, di non arrendersi mai. Un’azienda che nel suo DNA mantenga lo stupore di un quindicenne, il coraggio di un ventenne, l’ambizione di un trentenne, la consapevolezza di un quarantenne.

Questa è la mia storia e nello stesso tempo la mia testimonianza, scritta di getto, come dicevo all’inizio, forse per riversare tutta la frustrazione per questa fase critica, non solo per noi, ma per tutto il paese. Non chiedo che sia pubblicata, non cerco pubblicità. Mi limito a dichiararmi a disposizione della vostra iniziativa e sarei felicissimo di avere l’occasione di offrire il mio contributo per stimolare, incoraggiare e sostenere il nuovo che avanza, sulle cui gambe si dispiegherà la rivoluzione digitale che spazzerà via gli operatori di iniquità dei tempi moderni.

La mia proposta

In conclusione, sperando che questo sia il posto giusto, non vorrei rinunciare alla possibilità di avanzare una proposta per il Ministro Passera. Tema: i fondi europei, come evitare che non si trasformino da opportunità in incubo.

Le amministrazioni regionali, individuano da tempo un soggetto terzo, chiamato Organismo Intermedio, per la gestione attuativa e finanziaria dei fondi strutturali. Rimane in carico all’organo di governo, la programmazione dei fondi e la sovraintendenza delle procedure tramite i propri uffici. I soggetti beneficiari sono sottoposti ad obblighi e procedure, doverose, ma caratterizzate da una relazione d’onere unidirezionale verso la pubblica amministrazione, sia per la complessità e ripetitività degli adempimenti burocratici, che per la totale assenza di strumenti di supporto e assistenza.

La recente “Direttiva decertificazione” in materia di certificati e dichiarazioni sostitutive, ha contribuito decisamente a migliorare e semplificare gli oneri a carico delle imprese. Ma la rivoluzione culturale secondo cui è l’amministrazione pubblica al totale servizio del cittadino/impresa – e non il contrario – è ancora un miraggio, specie in alcune regioni. Basterebbe una piccola dose di mercato. La mia proposta, che prende spunto dal caso dei fondi europei, ma che si potrebbe applicare universalmente, si articola in alcuni semplici punti:

  1. È fatto obbligo alle Pubbliche Amministrazioni, nonché ai gestori di pubblici servizi (come nel caso degli organismi intermedi), di istituire uno sportello informativo, attraverso l’utilizzo di servizi di comunicazione telematica (posta elettronica, forum online, etc), dove sia possibile gestire casi e richieste di supporto da parte dell’utenza, rispetto alla procedure in corso.
  2. Ogni richiesta dovrà essere memorizzata e associata ad un ticket, per essere gestita tramite un primo livello di supporto, con obbligo di notifica immediata all’utente di presa in carico.
  3. È fatto obbligo adottare e rendere pubblico un contratto di servizio che indichi obbligatoriamente i termini entro cui completare il supporto di primo livello (informativo o risolutivo), oltre il quale gestire un secondo livello (di escalation) per la risoluzione del caso. I termini suddetti non possono essere fissati oltre i 30 giorni complessivi.
  4. Gli indicatori di performance, rispetto ai termini previsti dal contratto di servizio, rappresentano elementi necessari e qualificanti per l’ottenimento di qualsiasi premio di produzione e avanzamento di carriera per i funzionari preposti.

In fondo, nulla di nuovo. Sono procedure largamente adottate dalle aziende private nell’ambito dell’erogazione dei servizi ai loro clienti. Esistono software semplici e poco costosi, che aiutano ad implementare il tutto con immediatezza. Sarebbe addirittura sufficiente una casella di posta elettronica e un foglio Excel o un piccolo database condiviso. O ancora meglio, prevedere un sistema software centralizzato, offerto dal ministero della funzione pubblica, con la possibilità di avere in tempo reale i parametri di performance e in base a questo, poter monitorare e verificare l’assolvimento degli obblighi e l’applicazione delle sanzioni alle amministrazioni inadempienti.

Catania, 19 giugno 2012RICCARDO D’ANGELO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

What do you think?

Scritto da chef

default featured image 3 1200x900 1

Startupper, basta con le conferenze e torniamo a lavorare

innovaizone

JurisWiki ha già vinto: la Cassazione sta oscurando tutte le sentenze. Sarà un caso?