“Gli strumenti dell’hacking si mettono al servizio dell’attivismo”, nasce così l’Hacktivismo. A raccontarne l’ascesa in una videointervista è Arturo Di Corinto, giornalista e docente universitario, uno di quelli che Internet l’ha visto crescere in Italia dal Forte Prenestino, in cui crearono, lui e i suoi compagni, il primo HackMeeting italiano, e che oggi che la rete compie 30 anni è uno dei reporter più addentrati sulla materia dei diritti digitali e che sul tema ha scritto anche un libro: Hacktivism. La libertà nelle maglie della rete. Dagli attivisti di strada, quelli delle proteste per i diritti civili, agli hacker, quelli che con i codici binari vogliono cambiare il funzionamento della macchina affinché essa sia uno strumento per migliorare la vita umana. Così, dall’idea di giustizia, libertà e di un mondo migliore i due filoni si uniscono e dagli Anni Sessanta in poi è cominciata una sinergia che tuttora, nell’era del digitale, spadroneggia nella rete, stigmatizzata dalla maschera di Guy Fawkes, marchio di Anonymous.
La nascita
Dalle università americane poco dopo gli anni ’60 , dove ormai l’informatica era una materia studiata, gli hacker “condividono una visione del mondo con gli attivisti – ha raccontato Arturo Di Corinto – soprattutto quelli per la libertà di parola, che a quel tempo sono soprattutto attivisti politici, militanti radicali che combattono per cancellare la segregazione razziale tra bianchi e neri negli Stati Uniti d’America”. Da qui si ha un’evoluzione sempre più marcata e ascendente della sintonia tra virtuale e reale che ha portato poi all’instaurazione definitiva della corrente Hacktivista, detta anche attivismo digitale o cyberattivismo. Un ottimo esempio di hacktivismo si ha negli anni ’80, quando un gruppo di hacker australiani creò il virus Worms Against Nuclear Killers (WANK) e lo lanciò nel network della Nasa e del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti d’America nel 1989, per protestare contro il lancio dello Shuttle che trasportava plutonio radioattivo.
In quegli anni si vide anche la nascita del movimento cypherpunk, fatto di informatici con la passione per la privacy, le cui comunicazioni avvenivano attraverso liste cifrate e la cui cultura, ovvero quella della crittografia, porterà due decenni dopo alla nascita dei Bitcoin, la valuta virtuale.
La libera circolazione del software e del codice sorgente (Open Source) è un’idea base dell’hacktivismo
Non dimentichiamo inoltre che proprio negli anni ’80, dall’idea di un giovane finlandese, nascono le reti IRC (Internet Relay Chat), stanze virtuali in cui è possibile parlare in più persone in completo anonimato e nelle quali è possibile far interagire bot e botnet stesse. Esse diventeranno il modo più gradito di comunicare per gli Anonymous. Sempre un finlandese, Timo Sirainen, nel gennaio 1999 creò IRSSI, client per connettersi alle reti IRC scritto in linguaggio C, distribuito secondo la GNU Public General License.
C’è da sottolineare che la libera circolazione del software e del codice sorgente (Open Source) è un’idea base dell’hacktivismo. Negli anni ’90 si ha la nascita del DoS (Denial of Service), ovvero la negazione del servizio per mezzo di numerose richieste inviate ad un server o a qualsiasi servizio internet e del Defacement (Cambiamento della homepage di un sito). Un defacement storico fu quello alla homepage del Dipartimento di Giustizia statunitense, sulla quale venne apposta la scritta ‘Dipartimento di Ingiustizia’. Proprio negli anni novanta venne coniato il termine Hactivism, dal gruppo Cult of the Dead Cow (cDc), formato da hacker e attivisti, i quali però si dichiararono contrari a defacement e DoS, per il semplice motivo che li consideravano contrari alla libertà di parola.
Gli anni 2000
Sono gli anni in cui l’hacktivismo ha una svolta radicale. Esso diviene una costante e la linea tra virtuale e reale si assottiglia sempre più. Sono gli anni in cui l’hacktivismo prende un nome e un volto e diviene Anonymous, la cui rappresentazione visiva è una maschera di un viso grottesco e surreale, quello di Guy Fawkes. Difatti la grandezza di Anon, non è tanto nelle grandi proteste che ha portato avanti e che hanno riempito le pagine della stampa mondiale e della letteratura targata 2.0, ma nell’aver dato un’identità all’hacktivismo. La sua arma caratteristica è il DDoS (Distribuited Denial of Device), un’affinazione del DoS che agisce attraverso attacchi effettuati da migliaia di macchine infette comandate da un Command and Control con il quale si forma una botnet. Sarà proprio questa l’arma con cui Anonymous si afferma sulla scena hacktivista mondiale, dando vita ad Operation Payback del 2011, in cui i siti di Paypal e altri di BitTorrent verranno messi offline.
Nel 2013 altro grande attacco: Anonymous il 7 aprile prende di mira il web israeliano. In quel giorno ragazzi di tutto il mondo si uniscono sotto la maschera di Guy Fawkes in OpIsrael, creando miliardi di danni ai servizi internet di Israele. A combattere con Anononymous quell’anno ci fu anche AnonGhost, gruppo fondatore di OpIsrael, ma che durante OpCharlieHebdo si schierò contro Anon stesso, data la sua natura filo islamica.
Nascono le lotte online tra sostenitori della pace e ferventi ammiratori del terrorismo
Non dimentichiamo la nascita del SEA, Sirian Electronica Army, l’esercito cibernetico che dal 2011 supporta il Presidente siriano Bashar al-Assad e che è famoso per attaccare i siti di informazione di tutto il mondo, ultimo in Italia quello di Repubblica. Nel settembre 2001, dopo gli attacchi di Al-Qaeda al cuore degli Stati Uniti e l’inizio dell’Operazione militare Enduring Freedom, si ebbe la nascita del gruppo hacktivista Young Intelligent Hackers Against Terrorism, che voleva fermare i finanziamenti dati ai terroristi di Al-Qaeda. Dal lato opposto ci fu la nascita della coalizione pakistana, chiamata Al-Qaeda Alliance Online. Nascono così le lotte online tra sostenitori della pace e ferventi ammiratori del terrorismo, le quali esistono e sussistono tuttora con Anonymous che combatte per la libertà e la pace e le squadre di hacker pro Isis, come il CyberCaliphate.
A cavallo tra la prima e la seconda decade del secondo millennio, l’hacktivismo Anonymous mostra anche il suo lato più oscuro, fatto di attacchi contro i Governi che si trasformeranno nei nemici acerrimi degli anon e fatto di spie interne inviate dalle Intelligence. Sabu, il cui vero nome è Hector Xavier Monsegur, leader della crew antagonista di Anonymous LulzSec, sarà il primo insider nel mondo dei cyberattivisti e la sua collaborazione con l’FBI, pattuita per evitarsi 20 anni di carcere, nel 2013 porterà al primo degli arresti avvenuti in questo modo: quello di Geremy Hammond, che verrà condannato a 10 anni di carcere. Dopo questo drammatico episodio Anonymous stesso cambierà. Gli hacktivisti marcheranno ancora di più il motto ‘trust none’, o ‘be paranoid’, fidati di nessuno e sii paranoico.
Lo tsunami Anonymous Italy
Arriviamo agli ultimi anni, quelli in cui Anonymous è oramai l’hacktivismo per eccellenza e tra contro-informazione e hacking la fa da padrone sull’intero internet. Gli anni dello tsunami Anonymous Italy che dal 2012 in poi mette ko i siti della Polizia di Stato, dei vari Tribunali, di politici quali Renzi e Beppe Grillo, Monsanto e che dà appoggio incondizionato ai movimenti attivisti come i NoTav; periodo d’exploit che si concluderà nel maggio 2015 con gli arresti di Aken e Otherwise e che, dopo OpParis andrà scemando fino a questi giorni, in cui Anonymous sembra scomparso, oscurato dalla scena hacktivista italiana. Sul fronte internazionale, invece, la Legione è ancora attiva, da OpIsis alle operazioni contro le banche in OpIkarus, le proteste online e le lotte per la libertà, hanno il marchio della maschera di Guy Fawkes. Per non parlare della Million Mask March che è il cuore dell’unione di hacking e attivismo e che da cinque anni (6 quest’anno) ogni 5 novembre vede l’adunata di giovani nelle maggiori città del mondo.
Purtroppo, nel boom di Anonymous, molti hanno cercato di approfittarsene usando la maschera di Guy Fawkes e il nome stesso del movimento per trarne profitto. Ultimo di questi è Chris Nemelka, predicatore statunitense che ha dato vita ad Humanity Party, campagna politica in cui sostiene giustizia, pace e libertà con il logo di Anonymous. Insomma i cyberattivisti usati come brand. Questo agli anon, quelli veri, non è piaciuto e sono andati ad indagare su chi ci fosse dietro questa campagna politica – tra l’altro completamente contraria all’ideologia dei cyberattivisti che si definiscono apolitici – e hanno scoperto il nome del predicatore dei Mormoni, mal visto anche dai mormoni stessi. A discapito di quello che tutti i media hanno affermato, quindi, Humanity Party non ha nulla di Anonymous, se non ‘il brand’. Bastava chiedere alle fonti interne alle reti IRC del network AnonOps per saperlo.
Ma proprio il fatto che quest’idea sia un logo, un meme, come sostiene Arturo Di Corinto, farà sì che “Anonymous nessuno lo potrà mai fermare”.