In questi anni sono stato spesso al Sud e l’ho trovato meraviglioso. Non parlo delle località da cartolina dove probabilmente molti di quelli che stanno leggendo questo post trascorrono le vacanze. Parlo della meraviglia del Sud dell’innovazione. Storie così belle da far venire i brividi, persone così brillanti e coraggiose da diventare a loro volta dei modelli per il resto del paese. Non sono parole a caso.
Prendete la Puglia e il caso di Blackshape, l’azienda di aerei lanciata a Monopoli da Angelo Petrosillo e Luciano Belviso, due giovani cervelli tornati a casa grazie a Bollenti Spiriti, un programma regionale di soldi a fondo perduto per l’occupazione giovanile (perduto si fa per dire, mai 25 mila euro pubblici sono stati investiti tanto bene).Oppure andate in Calabria, in un paesino che faticate a trovare sulle carte, Simbario, dove Francesco Tassone si è inventato una macchina che produce una malta a chilometro zero e ha creato Personal Factory, portandola al successo mondiale contro tutto e contro tutti.
Oppure in Basilicata dove una community di innovatori ha fatto conquistare a Matera il titolo di capitale europea della cultura.
O in Sardegna, dove è nato il web italico, l’innovazione non si è mai fermata e infatti a Cagliari sono ospitate alcune delle startup nostrane di maggior successo; ma per trovare la più bella di tutte dovete guidare nell’entroterra fino a Serramanna, dove c’è la sede di Sardex, un geniale sistema di moneta complementare all’euro che si regge grazie al web, inventato – paradosso dei paradossi – in una zona dove non c’è la rete o quasi.
Quanto alla Campania, si è conquistata una bandierina nella mappa mondiale dei videogiochi grazie ai ragazzi che lavorano a SpinVector e a Mangatar; mentre è dalla Sicilia che è partita l’avventura di Mosaicoon, una video company realizzata da un altro giovane testardo, Ugo Parodi.
Potrei andare avanti a lungo, ma mi fermo qui per ora. Mi fermo per dire che, davanti a queste fiabe, i dati sul Meridione appena pubblicati da Svimez sono un brusco risveglio: il Sud d’Italia è quello, praticamente morto, raccontato dai numeri? O è quello che abbiamo visto in questi anni e che molti di noi vivono ogni giorno?
Non si tratta di avere una semplice reazione di orgoglio per dire #ilsudsiamonoi, ma piuttosto di ragionare.
I numeri non si discutono, si analizzano. Ma nemmeno le storie si discutono: perché per quanto siano belle da sembrare favole, sono vere, fatte da persone vere, verso le quali semmai oggi abbiamo ancora più ammirazione visto il contesto in cui sono riusciti ad affermarsi.
E allora? Allora il rischio è che tutto ciò non basti.
Che la deriva sia troppo forte. Che certe imprese diventino come il goal della bandiera quando gli avversari te ne fanno sette: una testimonianza. E’ così?Il rischio c’è. Ma io credo, fortemente credo, che non possa e non debba finire così. Quando mi parlano del Sud senza speranze mi vengono in mente delle facce che dimostrano l’esatto contrario. Facce con nomi e cognomi. Mi viene in mente Salvatore Giuliano, il super preside del Majorana di Brindisi, che ha creato forse la migliore scuola d’Italia coniugando digitale, innovazione e passione per l’insegnamento. Mi viene in mente l’astrofisica Sandra Savaglio che è tornata dagli Usa e dalla Germania in Calabria per guidare un centro di ricerca fatto quasi solo di giovane donne che sta vincendo bandi in tutto il mondo. Mi viene in mente Giusi Nicolini, il sindaco di Lampedusa, che ogni giorno con i suoi concittadini ci racconta che c’è un altro modo di affrontare il tema dei migranti e che la solidarietà umana viene prima di tutto. Sempre. Mi viene in mente Andrea Bartoli che ha trasformato il borgo abbandonato di Favara in una factory di cultura e arte.
Storie, direte voi. Casi isolati. Generosità sì, ma in fondo utile come i vuoti a perdere. Io credo di no.
E credo, più in generale, che la crisi del sud, nei dati nerissimi appena pubblicati, sia soprattutto figlia di un fenomeno che chiamerei “la bancarotta della speranza”. E’ quello stato in cui non credi più a niente e lasci che tutto vada come deve andare, provando a vivere alla giornata. Il momento in cui smetti di sognare per il timore che sia un incubo.
Perché siamo arrivati a questo punto? Per tante promesse mancate, certo; e per tantissimi sprechi di soldi pubblici usati male anche localmente: la solita storia purtroppo. Ma non mi interessa qui ricostruire le colpe della cattiva politica. Mi interessa piuttosto mettere in evidenza il deficit costante di innovazione che c’è stato in tutte le scelte fondamentali, e senza innovazione non c’è crescita economica, sociale, culturale.
I dati, questi dati sì, sono un atto d’accusa senza appello e sono assieme una chiave per provare a trovare una soluzione: mi riferisco alla (mancata) diffusione della banda larga, alla (in)disponibilità di capitali di rischio per le startup, ai fondi (insufficienti) per le università e i centri di ricerca.
Prendete anche solo questi tre dati e paragonateli con la media italiana e avrete trovato l’assassino: il Sud non è in crisi perchè il destino o la genetica o la politica hanno deciso così; è in crisi perché non gli abbiamo dato gli strumenti per farcela. Per costruirsi un futuro. Per far alimentare la speranza. E senza sogni, si sa, non c’è vita.
Che fare? E’ una domanda antica nella storia dell’umanità. Ed è il momento di porsela per il Sud.
Non per l’ennesimo dibattito, che tanto sui giornali finirà subito; ma per trovare delle soluzioni nuove. Subito. Lo chiedo ai tanti innovatori del sud che oggi hanno posizioni importanti, anche a livello nazionale, e ai tanti giovani che non si sono arresi. Che fare? Fare è il nostro verbo preferito del resto, a pari merito con sognare. E quindi: non sprechiamo questa occasione, non voltiamoci dall’altra parte delusi. E’ il momento di verificare se le cose che facciamo, quelle di cui parliamo sono solo belle favole, o possono essere anche la ricetta per ripartire. Condividiamo un progetto e facciamolo. Subito.
RICCARDO LUNA31 luglio 2015