Sui social network ormai non ci si entra più: ci siamo dentro, fanno parte di noi

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Nel primo secolo a.C. Roma era senza dubbio la regina incontrastata del Mediterraneo: sconfitta Cartagine e conquistata la Grecia, aveva esteso i suoi territori nelle zone che oggi corrispondono alla Spagna, alla Francia, alla Turchia e a parte dell’Africa.

Ho moderato un incontro in cui abbiamo discusso di social network. Per cominciare la serata, ho proposto l’aneddoto di Cicerone, che nel 51 a.C. dovette recarsi in Cilicia (l’attuale zona meridionale della Turchia), per assumere il ruolo di proconsole. Il governatore venne chiamato a gestire la dilagante corruzione che si verificava lontano dal cuore dell’impero, Roma, città che godeva di uno splendore e di un’egemonia senza eguali. Marco Tullio Cicerone quindi, si recò in Cilicia, ma mantenne sempre stretti contatti con Roma, dove peraltro il buon Giulio Cesare, a capo dell’esercito romano nella parte occidentale dell’impero, pareva stesse pianificando la sua ascesa sulla città.

Le cronache raccontano che Cicerone fu in grado di mantenere una fitta rete di contatti tra la Turchia dove si trovava, e Roma, dove risiedeva il centro del potere. Questa rete di contatti costituiva un sistema di quello che oggi chiameremmo social media,

un ambiente in cui le informazioni passano da una persona all’altra attraverso collegamenti sociali, dando vita ad una conversazione di gruppo, o a una community.

L’aneddoto risale a oltre duemila anni fa, anche se appare tuttavia ancora attuale. La storia ci insegna che in fondo abbiamo a che fare solamente con nuove piattaforme, con nuove interfacce, con nuove vetrine, ma con le stesse e identiche dinamiche del passato; pensate che pure Cicerone (o pure noi?) utilizzava delle abbreviazioni all’interno dei suoi messaggi: “SPD” stava per “salutem plurimam dicit” ovvero “ti saluta tanto” mentre “SVBEEV”, “si vales, bene est, ego valeo” significava “se stai bene ne ho piacere, io sto bene”.

Regole, rispetto, moralità valgono oggi come ai tempi di Cicerone

Il rispetto delle regole, il senso civico, un’etica, una morale, la potenzialità di una parola piuttosto che un’altra, il linguaggio e le sue varie forme di utilizzo: nulla di tutto ciò è stato inventato con l’avvento di internet. La rete, in quanto strumento, ne ha semplicemente fatto da cassa di risonanza, amplificandone gli effetti, valorizzando, nel bene o nel male, le conseguenze delle nostre azioni.

Cicerone scriveva:

Ignorare ciò che si è fatto nelle epoche precedenti vuol dire condannarsi a rimanere per sempre bambini.

E ancora: “Se non traiamo alcun vantaggio dagli sforzi dei nostri predecessori, il mondo sarà destinato a rimanere per sempre nell’infanzia della conoscenza.” Quali sono gli sforzi dei nostri predecessori da cui oggi dobbiamo trarre vantaggio? Cosa possiamo portarci dietro di veramente importante dal nostro passato?

Come possiamo decifrare e comprendere a fondo i nuovi media digitali grazie allo studio della nostra storia?

Certo, a domande così vaste e complesse, non basterà certo un’umile riflessione come quella che tento di stendere io.

Mentre Alessandro Rimassa, nella rubrica che tiene su Donna Moderna ci racconta e ci spiega la moda dei gig job, “microimpieghi in cui possiamo dare il nostro meglio perché possiamo essere ciò che siamo davvero”, Luca De Biase, generalizzando in qualche modo l’idea, rispolvera il concetto di quella che chiama “società di mutuo soccorso”, dove “le potenzialità dell’informazione, estese e rafforzate dai media digitali, appaiono fondamentali per migliorare l’efficienza delle azioni di inclusione, partecipazione, formazione necessarie a ridefinire una prospettiva che valorizzi il contributo di tutti alla costruzione del futuro”.

Innovare la società partendo dalle scelte della politica per il bene comune

Il contributo di tutti. Io credo che ciò che ci dobbiamo ricordare sia fondamentalmente il nostro essere comunità, valorizzando le potenzialità di ciascuno. Se l’antica Roma, nonostante i suoi controsensi e suoi problemi, era comunque una città viva grazie alle persone che ci abitavano e che vi generavano valore, oggi le nostre città sono tavole di un flipper dove ognuno schizza nella propria direzione, talvolta godendo di una propulsione propria, ma molto più spesso purtroppo, subendo un moto deviato dall’indifferente scontro che avviene con un’altra biglia, che sfortunatamente incrocia il nostro percorso.

A volte, partecipando a numerosi convegni legati alle tematiche digitali, mi ritrovo a concludere che non abbiamo proprio capito niente. Ci ostiniamo a dare la colpa ai contenitori, e non ci prendiamo il tempo, la pazienza, la cura di giudicare i contenuti. Ci arrabattiamo sui fatti, ma non ci impegniamo mai a risalire alle motivazioni che hanno mosso e generato quei fatti. Ci scaldiamo come fiammiferi sfregati sulle loro scatole quando entriamo sui social network, quando invece dovremmo renderci conto che sui social network ormai non ci si entra più: ci siamo dentro, fanno parte di noi, sono un contesto buono dove potenziare le nostre relazioni, non un ring dove ergersi a campioni di pugilato della situazione.

I social network come media civici

Se poi è vero che i social network vengono italianizzati in “reti sociali”, merita sicuramente citare la politica, quella che in qualche modo dovrebbe saper gestire questi collegamenti. Nel mio piccolo, vedo una politica che arranca tragicamente dietro a un mondo che corre. È come se la musica suonata dalla tecnologia avesse un ritmo differente dalla musica suonata dalla politica. Quest’ultima, appare infatti sempre più lenta, sempre più timida, sempre meno dirompente, sempre meno sincronizzata, sempre più spaesata. Peccato. Peccato davvero, perché l’immobilismo davanti a questi nuovi media civici, impoverisce il tessuto sociale, delegittima l’istituzione stessa, inevitabilmente permette e promuove la circolazione di qualsiasi tipo di notizia, anche di quelle false, anche di quelle parzialmente vere, anche delle sciocchezze. È un immobilismo che permette allo stolto di ergersi a sapiente, quando invece la politica dovrebbe farsi, pur con rispetto, da giudice e da arbitro, se non altro per un sano orgoglio interiore, o per legittima difesa. La politica che decide di essere presente in rete è senz’altro una politica coraggiosa. Non è un passaggio facile; occorre preparazione, tempestività, coerenza e assoluta trasparenza (quella vera, non solo quella che ci mette in regola con le norme).

Presso l’auditorium “Parco della Musica” di Roma, c’è stato un grosso evento legato al futuro delle tecnologie dove è intervenuto Satya Nadella, amministratore delegato di Microsoft. Durante il suo intervento ha detto:

se cambiate il modo di vedere il mondo, cambierà anche il mondo che vedete.

Nulla ci arriva senza fatica, siamo d’accordo. Onestamente però ho l’impressione che si stia un po’ esaurendo il tempo a nostra disposizione. Dobbiamo fare al più presto delle scelte forti, coraggiose: da politici, da amministratori locali, da educatori, da adulti in generale. Credo dunque che il consiglio di Nadella sia un buon approccio per cominciare.

MATTEO TROÌA*

*Digital Champion Casarsa della Delizia

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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Scritto da chef

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Elogio dell’ignoranza digitale

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Quel decreto non è un vero FOIA. Miglioriamolo insieme!