La regolamentazione di Internet è sempre stata considerata materia noiosa e per addetti ai lavori. Fino a che non sono apparse sulle testate nazionali, tematiche legate al dibattito nato intorno alla rete di nuova generazione e all’ipotesi di scorporo avanzata da Telecom Italia all’AGCom, l’autorità preposta a vigilare il mercato delle tlc in Italia.
Ed è così che termini prima oscuri come spinoff, deregolamentazione, bitstream, orientamento al costo, hanno cominciato ad essere più usati anche dagli osservatori meno attenti, pur se molti punti continuano a rimanere oscuri alla quasi totalità dei lettori.
Comunque la si pensi, intorno alla vecchia rete in rame e a quella nuova – in fibra – che verrà, si giocano interessi economici e politici fortissimi. Stiamo parlando di mercati, borsa, azioni, finanza, ma non solo.
Entra in gioco il pluralismo, come sempre ormai, ma adesso ancor di più, specie perché la Tv sta per essere inghiottita da Internet. E gioca infine un ruolo importante lo scontro tra poteri dello Stato e autorità comunitarie, come sovente accade anche tra capitali italiani e investitori esteri.
Un panorama davvero complesso che in pochi riescono a cogliere. E come dicevamo all’inizio, un linguaggio criptico tipico degli addetti ai lavori, rende tutto molto più opaco. È assolutamente sbagliato però desistere, rinunciare alla comprensione.
Almeno per farsi un’idea, andiamo a tagliare un po’ di temi con l’accetta. In Italia siamo indietro su tutto quello che riguarda il digitale. Abbiamo una rete vetusta, in rame, che crea problemi di ogni tipo. Su di essa si è sviluppata una concorrenza blanda, fatta da pochi operatori esteri che concorrono con Telecom Italia e a volte la schiacciano come nelle grandi città come Milano e Roma.
Gli altri operatori sono talmente piccoli da non rappresentare insieme una massa critica sufficiente a fare opinione, ormai quasi su nulla. A tutto questo si aggiunga che i player del mercato sono pure molto litigiosi e si procede a colpi di Tar e di Consiglio di Stato. Dicesi “regulation by litigation”.
L’operatore storico, dicevamo, è Telecom Italia. Gli altri si interconnettono prevalentemente sulla sua rete. Di recente AGCom ha pure abbassato le tariffe all’ingrosso per interconnettersi a quella rete, scatenando un vespaio di polemiche. In pratica se resta più facile acquistare la connettività da Telecom e rivenderla, nessuno troverà lo stimolo per costruire una rete nuova, in fibra e mettersi a fare concorrenza vera, sulle infrastrutture, invece che sui servizi. Chi sostiene il contrario mistifica semplicemente il ruolo dei fornitori di connettività con i fornitori di servizi on line.
Li chiamano tutti ISP (Internet service provider), definizione totalmente vaga e vetusta che però ritorna a confondere quando non si conosce bene il fenomeno.
Ma che guaio fare business con questi prezzi bassi! Si abbassano all’ingrosso, è vero, ma si abbassano pure al dettaglio assottigliando sempre di più i margini, al punto che il ruolo del fornitore di connettività da solo rappresenta quasi l’immagine di un imprenditore autolesionista che investe i capitali in una rete su cui qualche altro lucra sopra.
Ne è derivata una guerra tra Telco ed Over the Top, ossia tra operatori di rete che scavano e mettono cavi, e fornitori di servizi e contenuti digitali. I secondi lucrano moltissimo e si avvantaggiano degli investimenti dei primi. La guerra è su tutti i fronti, non solo in Italia, e coinvolge moltissimi decisori. Non immaginate quanti. Il fatto è che la battaglia della rete è appena cominciata. La scacchiera vede moltissime pedine allineate. Chiunque intende provare a suggerire una mossa rimane bruciato. Tutti coprono la regina.
La regina – neanche a dirlo – è Telecom Italia, messa costantemente sotto scacco da pressioni competitive, dall’Antitrust che eroga multe, dall’AGCom che propone irrituali preistruttorie che rallentano i processi. Si bloccano perfino i piccoli passi avanti proposti e subito ritirati. Come non detto.
Ci sono, ed è evidente, anche interessi stranieri sulla rete italiana. Non è un caso che i principali operatori alternativi siano esteri. Vodafone è inglese, Fastweb svizzera, Wind Russa. Ed è certamente un bene che perfino Telefonica abbia trovato interessante investire capitali in Italia, con una quota in Telco, la scatola di controllo di Telecom. Una perdita secca di miliardi di euro, badate bene. Ma non un solo passo indietro. La scacchiera si estende fino in Brasile, dove Telecom Italia va fortissimo, ed è un mercato che piace alla Spagna.
Ecco. Spero di non aver contribuito a confondere maggiormente il quadro. Volevo solo dirvi: appassionatevi alla materia. Fate domande. Cercate di capire di più. È in gioco l’interesse nazionale ad avere una rete di Tlc italiana su cui far passare i nostri dati. L’America di Obama ci ha insegnato quanto sia importante.