Il ritorno di Art il clown
Con l’uscita di Terrifier 3, il pubblico è nuovamente chiamato a confrontarsi con la figura inquietante di Art il clown, un personaggio che ha saputo conquistare il cuore (o meglio, il terrore) degli appassionati di horror. Questa volta, Art si traveste da Babbo Natale, dando vita a una serie di omicidi efferati che non sembrano portare nulla di nuovo rispetto ai precedenti capitoli della saga. La pellicola, diretta da Damien Leone, si inserisce in un filone già ampiamente esplorato, quello del torture porn, un genere che ha trovato la sua massima espressione in titoli come Hostel e Saw.
La brutalità come attrazione
La campagna pubblicitaria di Terrifier 3 ha messo in risalto la brutalità delle scene, promettendo un’esperienza visiva che avrebbe potuto far svenire o vomitare gli spettatori.
Questo approccio ha suscitato un dibattito acceso: è giusto esporre il pubblico a tali livelli di violenza? La risposta non è semplice. Da un lato, il cinema horror ha sempre giocato con la paura e il disgusto, dall’altro, il rischio è quello di normalizzare la violenza. La pellicola, pur non raggiungendo le vette di crudeltà di opere come Cannibal Holocaust o A Serbian Film, riesce comunque a colpire nel segno, attirando un pubblico sempre più curioso e, in parte, complice di questa morbosità.
Il voyeurismo del dolore
Il fenomeno del torture porn non è nuovo e si ripete ciclicamente nel panorama cinematografico. Film come Freaks o L’esorcista hanno già affrontato tematiche simili, ma Terrifier 3 si distingue per la sua mancanza di una trama solida.
La sinossi si riduce a un semplice: Art il clown resuscita e tortura chiunque gli capiti a tiro. Questo approccio, purtroppo, sembra riflettere una mancanza di idee e di talento da parte dei creatori. La violenza, in questo caso, diventa un mero pretesto per attrarre il pubblico, piuttosto che un elemento narrativo significativo.
Riflessioni sulla violenza nel cinema
È importante considerare che la violenza nel cinema horror può avere diverse funzioni. Se da un lato può servire come valvola di sfogo per le frustrazioni quotidiane, dall’altro può anche contribuire a una desensibilizzazione del pubblico. I personaggi come Jason, Freddy e Michael Myers, pur essendo efferati serial killer, hanno una storia e un contesto che li rendono più complessi. Art il clown, al contrario, è privo di un passato e di motivazioni, riducendosi a un simbolo di sadismo puro.
Questo solleva interrogativi etici e morali su ciò che il pubblico è disposto a tollerare in nome dell’intrattenimento.