TikTok e Algocrazia: se l’intelligenza artificiale sostituisce quella vera

TikTok, il vero problema risiede nell'algograzia delle app che grazie ai loro algoritmi scandiscono i nostri ritmi di vita.

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Avevamo anticipato questa estate che il traguardo della corsa all’acquisto di TikTok sarebbe stato spostato in avanti, al di là dei diktat trumpiani, finché non si fosse trovato un accordo. La deadline per la vendita è stata prorogata al 12 novembre e, scavalcata Microsoft nel totonome, a tutt’oggi pare rimasta in pista solo Oracle. Nel frattempo un giudice americano ha sospeso il blocco di download di WeChat, anche alla luce delle trattative in corso con Walmart, che dal canto suo – minacciando di portare il presidente Usa in tribunale – ha ottenuto di mantenere il possesso dell’algoritmo e la partnership commerciale con la multinazionale informatica di Larry Ellison. Insomma, la rissa si concluderà ben oltre l’esito delle elezioni americane. Ma al di là della gara è interessante prevedere l’evoluzione del ruolo di TikTok per la divulgazione di contenuti su larga scala, la profilazione e la formazione stessa della propria utenza, intesa come accrescimento del numero di contatti e della capacità di influenzarli e indirizzarli inconsciamente verso una scelta.

Sfruttando l’uso massiccio che ne fa la popolazione mondiale per svago, e sempre più per lavoro, è forte la tentazione di farne un potente strumento di controllo inconsapevole, di comando psicologico, al servizio del miglior offerente.

Le repliche dei competitor

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Anche se TikTok venisse superato tra qualche anno da un ennesimo social, com’è verosimile, la smania della corsa all’oro, cioè al nostro tempo, è ormai conclamata. La risposta degli altri, infatti, non s’è fatta attendere. Facebook ha in fase di test in oltre 50 paesi, compresa l’Italia, un’applicazione chiamata Collab, per realizzare video musicali collaborativi da smartphone e un’altra su Instagram – la funzione Reels – che copia di sana pianta le brevi clip da 15” del competitor cinese, con tanto di audio ed effetti di realtà aumentata per liberare la creatività.

Lo stesso format è allo studio di Google su YouTube, con la nuova sezione “Shorts” in sperimentazione in India. La frenesia di assecondare l’ultima moda dimostra che la nostra privacy di comuni cittadini, che spesso riteniamo avere così poco appeal da non doverci preoccupare di tutelarla, è invece molto importante per servizi di rete sociale e governi nazionali, se le dedicano tanta attenzione. L’affare deve coprire le spese, per assegnare tante risorse all’invenzione di editing innovativi, e alla cattura dei nostri dati. Non esisterebbero più uffici marketing se i social non avessero questa capacità di condizionare comportamenti e relazioni, finanziarie e umane.

Addio privacy

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Per quanto possiamo ritenerci dotati di autocoscienza e spirito critico, “immuni” dal contagio multimediale, la Rete plagia alla lunga abitudini, consumi, credo politico. Non ha più senso dire che internet irrompe e si mischia alla vita vera, reale, perché la vita sul web è vera, è reale. Per molti forse più importante e tangibile di quella fisica. Purtroppo, a meno che non siano le coordinate dell’Iban o il pin della carta di credito, ai più importa ben poco che i loro gusti e le loro preferenze circolino liberamente online. La privacy, quella vera, è finita da un pezzo e non tornerà più. I browser memorizzano le nostre ricerche, Maps Timeline ricostruisce ogni nostro movimento nelle 24 ore catturando le celle telefoniche. Per non parlare della miriade di app a cui si accede da altre app, installate su mobile e pc per ogni attività: dai programmi per fatturare a quelli per tenersi in forma o cercare casa e lavoro, a cui consegniamo numeri di telefono, indirizzi, caratteristiche personali, profili professionali, indicazioni d’ogni tipo. Tutto questo ci ha già “marchiato” e continua a schedarci a ogni clic. Chi garantisce che perfino un innocuo gioco di scacchi non possa celare uno 007 digitale, lesto a carpire le nostre informazioni?

La cyber security

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Neanche far controllare il flusso a una società esterna, come già avviene, garantisce da furti d’identità giacché gli stessi terzi potrebbero essere comprati, corrotti: alla base di ogni scambio, ancor più in quello telematico, resta il rapporto di fiducia tra mittente e destinatario, e un calcolo ponderato di rischi e vantaggi. Anche Fb ha avuto ed ha problemi di privacy, non solo con Cambridge Analytica ma legati alla rimozione di contenuti scabrosi o all’oscuramento di pagine a seguito di violazioni di carattere penale. Esattamente come TikTok. Ogni notifica inviata da Apple e Google – inclusa quella di contatto al Covid, tramite i sistemi di exposure notification – è un trattamento di dati, magari su server stranieri. Pure Zoom e Houseparty, i due software di e-conference che quest’anno hanno raccolto il maggior successo, presentano non poche noie sul versante sicurezza, se non altro per l’assenza di crittografia end to end. E vi si rivolgono uffici pubblici, tribunali, scuole. A poco serve aggiornare antivirus, modificare le password senza memorizzarle, cancellare coockie e cestinare i messaggi degli sconosciuti. Dichiarare di non aver nulla da nascondere non significa essere ingenui, ma rassegnati a cedere parte della propria intimità in cambio di un servizio desiderato, convinti di poter continuare a decidere con la propria testa.

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Scritto da Giuseppe Gaetano

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