In tempi di crisi si accetta tutto, anche i bitcoin, per un caffè o un succo di frutta. Il primo Coinbar d’Europa, la cui apertura è data da tempo per imminente a Roma in via Barberini, non è in realtà la novità assoluta annunciata visto che iniziative del genere in Italia si registrano fin dal 2017 in alcuni locali bresciani. Anche una caffetteria di Tavernerio, nel comasco, l’anno scorso si è fatta una certa pubblicità a proposito. Il risparmio nell’uso della cripto valuta è nella commissione: intorno allo 0,2% rispetto allo 0,5 di una tradizionale operazione bancaria. Il guadagno è invece nella capacità di convertirla in cambi vantaggiosi con altre monete digitali (Ethereum, Ripple, Litecoin…) e soprattutto col denaro corrente vero e proprio, a cui la maggioranza resta affezionata.
Dal trading online alla valuta digitale
L’estrema volatilità della valuta virtuale consente plusvalenze notevoli a chi sa sfruttare i picchi di valore che è capace di toccare in 24 ore; di contro, a pari merito, c’è l’eventualità di crolli vertiginosi altrettanto repentini. Non a caso, per battere la persistente diffidenza, il bar ha annesso un ufficio di consulenza su appuntamento per i clienti che desiderano informarsi, e magari investirci qualche euro. Il ventaglio dell’offerta. Non solo cappuccino e brioche. Il gruppo di imprenditori italiani inventore della maxi piattaforma di shopping in criptovaluta Coinshare, ne ha da poco lanciata un’altra chiamata Rocket, applicando la blockchain alle bollette dell’elettricità.
Con la fine del mercato sotto tutela, anche il settore energetico si apre alla new economy e a nuove fonti di introito. Come in Germania nel 2016 con Enercity e, ancora in Italia, a fine 2019 con Sorgenia, che in partnership con la startup Chainside ha aperto al pagamento in bitcoin di luce e gas. Così ha fatto pure JustEat in Francia, per il food delivery.
La compravendita digitale estesa a piccoli servizi come il saldo della Tari, e consumi dalla fruizione immediata come una birra, un gelato o le sigarette, potrebbe apparire guidata da una filosofia al ribasso, una sorta di necessità virtù. Non è così perché il business è in grado di arricchire, e parecchio, chi ne conosce meccanismi e funzionamenti.
Il dato da evidenziare è l’esplosione in atto dell’offerta che la cripto moneta è in grado di coprire, e il suo fisiologico inserimento nella più globale cornice di progressiva digitalizzazione del paese. Spendibile su tanti siti di e-commerce per acquistare di tutto, l’aumento di aziende e utenti che vi si rivolgono ha spazzato via il timore che non si trovi dove spenderla o non soddisfi ogni domanda.
Più s’incrementa la gamma di conti regolabili tramite bitcoin, più crescono esercenti e clienti, e di conseguenza l’autorevolezza consegnata alla moneta digitale, la sua importanza di fatto. Sebbene coinvolga ancora una minoranza, l’utilizzo non potrà che crescere. Per uscirne senza rimetterci bisognerà aspettare il momento giusto per riconvertila in contanti, a un tasso di cambio sorvegliato dalla Consob onde evitare truffe e riciclaggi camuffati da transazioni. Il ruolo chiave della fiducia. Abbiamo già approfondito su Think il rischio di vari reati, amministrativi e penali, legati al denaro virtuale. A giugno sono scattati i sigilli ai beni di un 53enne calabrese accusato di malversazione a danno dello Stato per aver comprato bitcoin con 370mila euro di fondi europei destinati alla disoccupazione. All’estero non va meglio. A Singapore sono diversi i gruppi che, spacciandosi per broker di bitcoin, rapinano investitori con borse piene di banconote da cambiare. Alcuni giorni fa la corte di San Pietroburgo ha spedito in carcere due finti agenti segreti, la sentenza non ha però contemplato il risarcimento dei bitcoin estorti perché “ancora non adeguatamente regolati”. Ma siamo in Russia.
Altrove il controllo di organi governativi, anche su asset tanto decentralizzati, è più forte: altrimenti l’Fbi non starebbe dando la caccia da anni a Russ Medlin, capo del BitClub, per una frode da 722 milioni di dollari alle casse dell’erario statunitense. Non può mancare molto al riconoscimento internazionale di uno status che renda la cripto valuta oggetto di diritto. La criminalità è purtroppo ovunque, anche nella realtà, ed ha fiuto per gli affari: se a testimoniarne il valore “reale” non basta l’interesse mostrato dalle nuove mafie, c’e’ quello delle grandi banche – che dopo averla osteggiata in ogni modo ora ci investono – e adesso anche delle pmi. Anche questi sono attestati di sostanziale validità, garanzie della concretezza della valuta digitale e delle sue pratiche. Dal cyber crimine tocca continuare a guardarsi, aumentando controlli e analisi incrociate. Discorso a parte per la paura che la telemoneta non “esista”, perché non prodotta fisicamente né ufficializzata da un governo.
Legalizzazione all’orizzonte. Una preoccupazione infondata cacciata via dalla stessa lente del Fisco italiano, puntata su chi la adopera per fini speculativi, facendo trading online come un normale agente di Borsa. L’Agenzia delle entrate la considera valuta estera e come tale ne tratta l’ammontare nella dichiarazione dei redditi, sottoponendo a imposizione gli utili di natura speculativa se la giacenza media dei wallet del contribuente supera per 7 giorni i 51.645 euro. Più riconoscimento formale di così! Per tassare persone e imprese che fanno affari con contrattazioni in cripto valuta, evidentemente lo Stato non deve reputarla così inconsistente. Un ennesima attribuzione di affidabilità, preludio alla sua definitiva istituzionalizzazione. Il mercato pare reggere la botta del Coronavirus, che da una parte ha spinto i consumi di massa verso la Rete ma dall’altra li ha pure tagliati per le subentrate difficoltà di spesa: in estate il sistema di exchange di Coinbase non ha retto al boom di connessioni quando il prezzo di Btc ha sfiorato 10.000 dollari; e Kraken prevede un salto di almeno il 50% nell’andamento del listino nei prossimi mesi. L’hash rate, cioè la velocità di mining, ha appena infranto un nuovo record superando per la prima volta nella sua storia la barriera dei 150 EH/s.
L’uso comune conquistato e l’istituzionalità implicitamente attestata, restano il miglior certificato
di validità e (relativa) sicurezza del denaro virtuale. A breve spunteranno come funghi corsi di formazione e aggiornamento dedicati alla sua gestione, le facoltà di Economia e commercio inseriranno annualità specifiche nel percorso accademico per quella che sarà una delle professioni del futuro: il consulente di cripto finanza. Eletta ufficiosamente dal pubblico, arriverà presto anche l’investitura governativa: la telemoneta affiancherà ufficialmente quella metallica e cartacea, accreditandosi a tutti gli effetti come una seconda valuta nazionale.