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Tre cose che ho imparato come direttore di iStarter

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Pochi giorni fa si è svolto il consiglio di amministrazione di iStarter. iStarter è l’acceleratore Italiano a Londra fondato da 100 equity partners. I partners sono imprenditori e manager di alto livello nel panorama Europeo appassionati di innovazione che hanno investito nell’acceleratore.

Il consiglio ha approvato il bilancio 2015 di iStarter.

Il 2015 è il mio primo anno di gestione e si è portato dietro una piacevole novità: il nostro primo anno in utile.

L’utile é contenuto, stiamo parlando di 4 mila euro, se considerate anche il consolidato con la Società UK si arriva a 35k. Questo risultato, contenuto nel valore assoluto, ha però 3 connotazioni particolarmente importanti da comprendere per chiunque faccia questo mestiere, o lo voglia fare, e per gli imprenditori che stanno considerando di essere accompagnati da un acceleratore.

1. Gli acceleratori sono business di stato patrimoniale per cui ogni euro conta

Acceleratori ed incubatori non creano valore nella differenza tra costi e ricavi operativi, ma nella rivalutazione che ci si aspetta dalle partecipazioni che entrano in portafoglio. Un investimento di seed o venture capital, richiede circa 7 anni tra il periodo d’investimento ed il momento di liquidazione (quando succede una exit). Per sostenere i costi, gli acceleratori chiedono ai soci di capitalizzare il veicolo o si inventano modelli di monetizzazione fantasiosi (e.g. open innovation o programmi di formazione).Il nostro modello parte da una struttura di costi estremamente leggero, questo ci permette di rimanere concentrati sull’attività core che per un acceleratore si traduce in (1) selezione (2) mentoring e (3) raccolta di capitale.

2. Immaginare di applicare il modello americano in Europa è un errore.

Il più importante acceleratore mondiale è il Ycombinator, la sua operatività inizia in America nel Marzo del 2005. Quando, nel 2012, abbiamo lanciato iStarter l’idea dei primi 35 partners era di portare il modello di Ycombinator in Italia. Abbiamo imparato nel modo più duro (3 anni di perdite) che il copia-incolla del modello americano in Europa non ha senso, citando Vasco “non siamo mica gli Americani” e abbiamo compreso la necessità di disegnare un modello tutto nostro. Un modello meno legato alle exit, maggiormente focalizzato sul lungo periodo con maggiore attenzione al conto economico, come dice il nostro partner Davide Sola nel suo libro “Patient for growth, impatient for profit”.

L’utile di quest’anno rappresenta la nostra ricetta per la sostenibilità economica.

Oggi possiamo dire di averla trovata. Abbiamo disegnato un modello estremamente flessibile capace di bilanciare remunerazione monetaria e remunerazione in azioni (work for equity) e capace di estrare valore:

  1. dalle startup alle quali chiediamo di sostenere parte dei nostri costi;
  2. dai nuovi partners in entrata ai quali chiediamo di riconoscerci una joining fee per il deal flow generato;
  3. dagli imprenditori italiani che si affacciano a Londra ai quali offriamo servizi di soft landing che gli permettono di risparmiare soldi e tempo.

3. Un acceleratore è capace di creare valore quando riesce ad aggregare ed includere.

Si crea valore quando la seguente formula è vera: Valore > Ricavi > Costi.

Nel caso di iStarter, il valore creato per le startup si traduce in tre benefici.

1. L’accesso ad un mercato di capitale più ampio, sia grazie alla nostra presenza in Inghilterra nel cuore della scena tecnologica di Londra, sia grazie ai contatti che il network degli equity partners di iStarter riesce a generare.

2. Opportunità commerciali vere e strutturate, grazie alle posizioni apicali che molti equity partner ricoprono in aziende affamate di innovazione.

3. Un mare di competenze verticali ed estremamente mirate che il nostro network può mettere a disposizione; ad esempio, su un progetto food, la startup potrebbe avere la mentorship di un top manager di un’eccellenza Italiana quale è Ferrero.

La nostra capacità di offrire valore alle startup è funzione della collaborazioni e partnership che siamo in grado di disegnare con l’intero ecosistema.

Gli equity partners che credono in noi ed investono in iStarter, gli acceleratori ed incubatori che ci portano il loro deal flow di maggiore qualità, gli investitori istituzionali ci chiedono di collaborare sui round internazionali.

Nel corso di un anno, riceviamo circa 600 progetti, questi progetti sono per lo più realtá che hanno già fatto un round di seed e che si stanno affacciando ad una raccolta più sostanziosa, a volte con istituzionali, molto più spesso con angels investors. Di questi 600 progetti, ne vengono selezionati circa 10 all’anno.

Per il 2016 il nostro obiettivo è fare raccolta sulla totalità delle startup, questo, al pari della sostenibilità di conto economico, è il nostro vero indicatore di successo.A fine anno tireremo le somme e, se gli amici di CheFuturo vorranno ospitarmi di nuovo, vi racconterò come è andata.

SIMONE CIMMINELLI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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