Non sono un’appassionata di fantascienza, ma sono stata colpita dall’impressionante serie di record totalizzati dall’ultimo episodio di Star Wars.
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Pur non essendo, ancora, il film che ha guadagnato di più nella storia del cinema (posto saldamente tenuto da Avatar, ma ancora di più da Via col Vento, se si corregge opportunamente per l’inflazione),
Il risveglio della forza ha impiegato 21 ore per raggiungere i 100 milioni di dollari di incasso nelle sale americane, arrivando a 500 milioni in 10 giorni.
A livello mondiale è ora a oltre 1,8 miliardi e non è ancora stato distribuito in Cina, il cui mercato ha dato contributi molto importanti agli incassi di altri film.
Una grandiosa e minuziosissima campagna pubblicitaria in stile Disney, insieme al ricordo ed alla nostalgia per gli episodi precedenti, è riuscita nell’intento di creare l’aspettativa che ha reso l’ultimo Star Wars il film più veloce nella scalata ai record.
E la velocità è un fattore importante nelle storie di battaglie galattiche, che sono il filo conduttore della serie, perché le navi spaziali (dei buoni e dei cattivi) si spostano da un punto all’altro della galassia in un tempo brevissimo, molto più breve di quanto occorra alla luce che, dopo tutto, è quanto di più veloce conosciamo.
Ovviamente, si dà per scontato che le navi spaziali, capaci di decollare ed atterrare su qualsiasi tipo di terreno senza bisogno di alcun tipo di infrastruttura, utilizzino i tunnel spaziotemporali. È un’ipotesi della relatività generale che, sfruttando la curvatura dello spazio-tempo, connettono diversi punti del nostro universo polverizzando le distanza che, altrimenti, sarebbero proibitivamente lunghe (qui c’è una illuminante spiegazione, in inglese, dei tunnel spaziotemporali).
Lasciamo perdere il dettaglio che i tunnel spazio temporali dovrebbero essere collegati ad un buco nero, che avrebbe effetti poco carini sui viaggiatori galattici.
Non mi è chiaro come facciano i piloti di queste astronavi a infilarsi nel tunnel giusto per andare su un dato pianeta.
Sfruttano una opportuna segnaletica? Prendere un tunnel sbagliato li porterebbe in un’altra galassia o addirittura in un altro universo. Oltretutto, dal momento che il tempo scorre diversamente quando ci si avvicina alla velocità della luce, bisognerebbe tenere conto della variabile tempo. Supponendo di partire alla volta del pianeta dove è in corso una battaglia epocale, non si vuole certo correre il rischio di arrivare nel futuro, quando tutto è già finito, oppure nel passato, quando non è ancora cominciato.
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L’architettura delle navi spaziali è un’altra caratteristica della serie. Parliamo di strutture immense grandi come portaerei dove astronavi più piccole entrano ed escono senza alcuna attenzione ad equalizzare la pressione tra il fuori (dove c’è il vuoto, unito a temperatura gelida) e il dentro che deve essere pressurizzato e riscaldato per permettere la vita degli esseri umani e i loro compagni da fattezze varie, ma sempre vagamente umanoidi. Le strutture spaziali assomigliano di più a palazzi con elaborate sale di controllo che non ad astronavi.Nessuno porta tute spaziali, i vestiti sono delle fogge più varie da tuniche pseudo medioevali dei capi del lato oscuro, alle armature di simil-plastica dei guerrieri, al look casual di Han Solo.
Nelle mega astronavi, la vita scorre senza dover fare i conti con l’assenza di gravità che dovrebbe fare fluttuare tutto ciò che non è saldamente ancorato alle pareti, al pavimento, al soffitto.
I protagonisti non fluttuano nell’assenza di peso, evidentemente ci sono giroscopi che simulano la gravità, e hanno a disposizione sorgenti di energia senza limiti per fornire la potenza necessaria a far funzionare tutti i marchingegni di bordo, le astronavi, le armi.
Chissà come viene gestito il riciclo dell’aria e dell’acqua, che sono i beni più preziosi a bordo di una vera stazione spaziale.
A proposito di aria, ho notato che i protagonisti non si preoccupano mai delle caratteristiche dell’atmosfera del pianeta sul quale stanno per atterrare. Forse le manovre sono così veloci che non hanno il tempo di porsi la domanda.
Scendono dall’astronave e respirano tranquillamente, come se tutti i pianeti avessero l’atmosfera ottimale, con la giusta pressione e la temperatura ideale per permettere ad un umano di sopravvivere senza protezione.
Pensate alla fatica che faceva il protagonista di The Martian ad andare in giro con la sua tuta supertecnologica senza la quale non avrebbe potuto resistere neanche pochi secondi sul gelido Marte. I nostri eroi non si chiedono nemmeno quale sia la massa del pianeta sul quale atterreranno, massa che determinerà la gravità che si troveranno ad affrontare: camminano e corrono, senza neanche contemplare la possibilità che la gravità possa essere più grande, schiacciandoli a terra (nel caso di un pianeta molto massivo), oppure più piccola, permettendo loro di spiccare grandi balzi (nel caso di un pianeta più leggero).
Infine, in un preoccupante esempio di omogeneizzazione culturale, ovunque nella galassia si parla la stessa lingua. Una disdetta per chi cerca di immaginare modi per comunicare con eventuali civiltà aliene attraverso qualche tipo di linguaggio matematico.
Su un cosa, però, Star Wars ha ragione: la galassia pullula di pianeti.
Quando la saga è iniziata, nel 1977 non si sapeva dell’esistenza di pianeti extrasolari, e pensare a pianeti abitabili in orbita intorno ad altre stelle era fantascienza allo stato puro. Adesso lo studio dei pianeti extrasolari ha fatto passi da gigante e siamo arrivati a contarne 2.000, tra questi, ce ne sono almeno due dozzine ragionevolmente simili alla Terra e potenzialmente abitabili. Tuttavia non siamo affatto sicuri che abbiano un’atmosfera respirabile. Quello che sappiamo per certo è che i viaggi interstellari sono molto, molto lunghi.
A differenza di quello che vediamo in Star Wars, noi abbiamo astronavi ridicolmente piccole che vanno a velocità ridicolmente basse.
Per di più, non abbiamo ancora trovato l’entrata dei tunnel spaziotemporali.