Concedetemi una premessa: in questo articolo si parla di centrali atomiche e ogm, medicina nucleare, Made in Italy, insetti sterili e cibo avariato. Non è una lettura adatta ai deboli di cuore. E neppure alle persone faziose e bellicose. Ho intenzione di passare da un argomento all’altro tessendo legami concettuali, di pensiero, lanciando stimoli, suscitando curiosità. Non voglio e non posso scrivere un’enciclopedia. Se dopo aver letto avrete voglia di saperne di più, potete farlo navigando su Internet – che è ricco di informazioni su questi argomenti -, oppure contattandomi direttamente o attraverso la redazione.Valeva la pena almeno provarci: tanto lo so già come va a finire.
Foto: nozinblog.com
Il 2015 è l’anno di Expo. Lo sappiamo tutti a memoria: a Milano, da maggio a ottobre, si parlerà di cibo, di tradizioni alimentari e soprattutto di come sfamare il pianeta nei prossimi decenni.
Quello che non tutti sanno è che invece esattamente sessant’anni fa, nel 1955, negli Stati Uniti veniva istituito il premio Atoms for Peace. Erano passati dieci anni da Hiroshima, e si iniziava a guardare con estremo interesse agli usi pacifici e utili della, tecnologia nucleare. Tra i vincitori di quel premio, che per primo andò a Niels Bohr (ideatore del modello atomico ‘planetario’ che oggi tutti conosciamo), figura il nome di George De Hevesy, il chimico ungherese cui si deve per primo l’uso dei radioisotopi come traccianti. Scritto così, magari non dice molto. Ma queste sostanze, che funzionano da veri e propri ‘fari’ che illuminano il percorso che seguono all’interno degli organismi vegetali o animali in cui vengono introdotti, oggi hanno moltissime applicazioni.
Per esempio si usano per fare una Pet o una scintigrafia, si somministrano alle piante insieme all’acqua o ai fertilizzanti per capire come vengono assorbiti e quanti usarne con precisione, si usano per esplorare le falde acquifere e seguire il corso dei fiumi sotterranei.
TUTTO EBBE INIZIO CON UNA FURBA AFFITTACAMERE
Il primo tracciante, in realtà, fu usato da De Hevesy per smascherare la sua affittacamere londinese, della quale sospettava che preparasse i pasti servendosi degli avanzi dei giorni (e delle settimane!) precedenti. Il cibo che la signora preparava al povero George, al tempo studente di dottorato a Manchester, doveva essere davvero immangiabile se il giovane, esasperato e affamato, ebbe infine l’idea di inserire nei resti dell’ennesima sbobba una piccola quantità di uno dei radioisotopi che adoperava per i suoi esperimenti.
Nei giorni successivi, passando sui piatti che gli venivano serviti un rilevatore di radioattività, si mise sulle tracce del radioisotopo.
Quale sarà stata la sua sorpresa nell’accorgersi, circa una settimana dopo, che effettivamente quella cuoca imbrogliona gli aveva rifilato di nuovo gli avanzi lasciati nel piatto sette giorni prima? Non sappiamo che uso fece George delle prove che aveva raccolto contro la sua affittacamere, ma è certo che le sue geniali intuizioni gli valsero anni dopo il premio Nobel per la chimica (1943) e, appunto, il premio Atoms for Peace.
Era il 1911, e più o meno da allora la tecnologia nucleare si è legata in maniera progressivamente più stretta a quello che mangiamo.
E’ passata dai laboratori ai campi e infine ha raggiunto la tavola, e ormai ci fa compagnia ogni giorno, in vari modi. Era il 1927 quando l’uomo ha irraggiato per la prima volta un insetto (drosophila melanogaster, il moscerino della frutta) e il 1928 quando ci abbiamo provato con una pianta (orzo). Avevamo scoperto da pochi anni le radiazioni nucleari e in pratica stavamo cercando di capire che effetto avessero sugli esseri viventi. Insomma: volevamo… vedere cosa succedeva. E a forza di esplorare la loro azione mutagenica ne abbiamo scoperte delle belle.
Per esempio, oggi sappiamo che è possibile far diventare sterili i maschi di alcuni insetti irraggiandoli con raggi gamma quando si trovano ancora nelle uova.
Rilasciandoli nell’ambiente, questi maschi si accoppiano con le femmine ma non producono prole, provocando una drastica riduzione del numero delle nascite. Si tratta di una tecnica, detta ‘dell’insetto sterile’, comunemente utilizzata per la lotta alla mosca tse-tse in Africa, dove questo insetto è un flagello per uomini e bestiame, ad alcuni parassiti della frutta, e anche alla zanzara tigre. L’abbiamo diffusamente utilizzata anche in Italia. Nel 2004, per esempio, una campagna sperimentale condotta sulla riviera romagnola prevedeva otto rilasci settimanali da ventimila esemplari di zanzare sterili.
Per quanto riguarda le piante, da quella prima piantina d’orzo ne abbiamo irraggiate parecchie altre, ottenendo a volte mutazioni interessanti.
Una delle più diffuse, in Italia, è stata il grano Creso, ottenuto e brevettato dall’Enea nel 1975 dopo aver irraggiato il frumento ‘Senatore Cappelli’ con raggi gamma e avere poi variamente incrociato i mutanti ottenuti.
Il grano Creso è particolarmente resistente, ha buone rese e la sua farina è molto utilizzata per panificare. Nel 1984 in Italia era coltivato su 430mila ettari. Naturalmente dopo essere stato irraggiato non è affatto diventato radioattivo, così come non lo sono gli insetti sterili che vengono liberati quasi a getto continuo nel mondo.
Ma se anche per un solo istante vi avesse sfiorato la mente l’idea di bandire pane e pasta dalla vostra tavola, occhio che sopra potrebbe rimanerci ben poco.
Per convincersene basta consultare il database delle specie mutanti del programma Atoms for food: in catalogo ce ne sono 3218. Se gli date un’occhiata, troverete tra le altre molte varietà di frutta, tra cui albicocche, mele, pesche, pere e il simpatico pompelmo rosa: la varietà Star Ruby, la più coltivata in Italia, è frutto dell’irradiazione con fasci di neutroni lenti di una mutazione spontanea presentatasi in Texas tanti anni fa. Ce n’è per tutti: dal whisky alla birra, dal pane alle verdure, moltissimi prodotti hanno avuto o hanno bisogno della tecnologia nucleare per diventare quello che conosciamo. Le radiazioni, in particolare, nel mondo sono servite o servono oggi per produrre meglio o di più, per ‘ripulire’ gli alimenti dai parassiti e allungarne la vita commerciale (per esempio impedendo alle cipolle o alle patate di germogliare), per liberare piante e animali dai loro più pericolosi nemici, per sterilizzare i contenitori in cui trasportiamo, sigilliamo o addirittura consumiamo gli alimenti. In Italia solo per fare un esempio le utilizziamo per sterilizzare i tappi di sughero che usiamo per imbottigliare il vino.
GLI ATOMI SONO GIA’ SULLE NOSTRE TAVOLE
Il connubio tra atomi e cibo è dunque ormai siglato, e non lo dico io ma una partnership di lunga data: il programma Atoms for food che ho menzionato qui sopra, siglata nientemeno che tra la FAO e l’IAEA (l’agenzia internazionale per l’energia atomica). L’anno scorso ha compiuto nientemeno che cinquant’anni, e continua a rilanciare sapendo di poter offrire alcune delle pochissime soluzioni al cronico problema che si presenterà nei prossimi decenni: nutrire i nove miliardi di persone che si prevede abiteranno il pianeta nel 2050 adoperando la stessa quantità di terra, inquinando meno e utilizzando anche meno acqua.
Credits: devianart.com
La storia, iniziata con George, si chiude di nuovo con Expo, dove verranno presentate alcune delle ultime ricerche e tecnologie ideate dal CNR per svelare proprio le frodi alimentari. Non si tratta della sbobba del povero De Hevesy ma di qualcosa di simile, ovvero dei prodotti contraffatti spacciati per Made in Italy, o addirittura delle contraffazioni di casa nostra.
Con la spettrometria di massa e l’analisi isotopica potremo finalmente difenderci dalla mozzarella di bufala fatta col latte di normalissima mucca, dal salame di cinta senese prodotto col maiale che viene dall’est Europa, dall’olio etichettato come extravergine toscano che invece proviene dalla Grecia.
Perché se l’atomo finisce nel piatto, può anche servire a capire cosa questo contenga esattamente.
ALESSANDRA VIOLA