Tutto quello che può fare ciascuno di noi mentre i politici se ne infischiano

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Si è detto tante volte: Italia paese fragile, una groviera, un disastro. Regioni intere che, del rischio naturale, sono una vera e propria antologia, con micidiali livelli di sismicità associati a altrettanto generose componenti di rischio idraulico, da frana, da subsidenza e costiero. Persino lo tsunami che, per quanto possa parere strano, è un rischio a tutti gli effetti conclamato. Si è detto “regioni intere”. Ma, andando a declinare quali e dove, si finisce per fare l’intero giro d’Italia e alla fine, per questo o per quello, si sono rammentate tutte.

Bisogna, piaccia o non piaccia, avere il coraggio di porre la questione. Si dirà che viene posta da almeno una quarantina d’anni. Eppure le cose non vanno lo stesso. Occorre averlo, questo coraggio anche se gli esiti, sinora, sono stati modesti.

Il Parlamento fa notoriamente melina, i governi non se ne parla. E la ragione principale, non sta nelle finanziarie tirchie, nella crisi, nello spread. Su questo, davvero, ci raccontano storie. Si tratta soltanto di disinteresse.

Il fatto, in estrema sintesi, è che la costruzione con criteri antisismici, la prevenzione delle frane e delle alluvioni e, più in generale, quella dei rischi naturali, dal punto di vista del marketing politico, non interessa, non piace, non intriga più di un tanto.

La politica, insomma, non ne è sostanzialmente affascinata. Se vogliamo dirla in maniera più brutale, a nessuno gliene può fregare di meno.

I risultati di ogni azione che un politico possa mettere in campo, per quanto coraggiosa, decisa e ben fatta, sono difatti poco riconoscibili, soprattutto agli occhi di media, sempre pronti a cogliere la potente forza evocativa di una cruda disgrazia rispetto alla piatta, per quanto confortante, realtà di una tranquilla vita quotidiana.

Si deve spendere, insomma, energia, denaro e consenso affinché, alla fine dei conti, “non succeda nulla”.

Ben diverso da costruire (per parlare di cose virtuose) un ponte, una scuola o un ospedale. Tanto poi c’è sempre ampio spazio per indignarsi e commuoversi davanti alle vittime del terremoto, dell’alluvione o della frana, le cui responsabilità “da ribadire con grande chiarezza…”, sono sempre riconducibili a qualcun altro. Tutto qui, ripetiamo, molto semplice. E se una cosa non piace, o non interessa, non la si fa. O la si fa poco, e quel poco che si fa lo si fa stento, astiosamente e controvoglia. Ergo, dobbiamo avere testa, a partire da noi stessi, e riprendere l’iniziativa.

Cominciamo dal conoscere il grado di sicurezza sismica della propria abitazione, valutarne l’esposizione ai fenomeni franosi o la vulnerabilità agli allagamenti, magari prevedendo la possibilità di istallare barriere mobili, anche di fortuna, in caso di evento di piena e ponendo i beni più pregiati nei locali meno esposti.

Questi ultimi aspetti, peraltro derubricati come non risolutivi o accusati addirittura di creare motivo di insicurezza o di allarme, sono socialmente accettati, una prassi comune, in molti paesi europei e non solo. Le difese “tattiche” contro le alluvioni, ad esempio, sono prassi corrente in Olanda, in Inghilterra e negli altri paesi dell’Europa del Nord. Loro non ci trovano niente di stravagante.

Le mappe della pericolosità del territorio sono state prodotte e sono, per la gran parte, ragionevolmente affidabili. Devono essere a portata di mouse in formato open e se non ci sono dobbiamo pretenderlo. Acquistando una casa se ne valuta dunque la sicurezza. Dobbiamo dunque imparare a controllare prima di firmare il contratto e non prendere fregature. Le aree a rischio idraulico, ad esempio, sono le più appetibili per la speculazione, non fosse altro perché, nelle pianure alluvionali, sono rigorosamente pianeggianti e, per evidenti ragioni storiche, spesso libere da insediamenti pregressi.

Se la casa è già nostra, si trova all’interno di un’area a rischio e non abbiamo nessuna intenzione di lasciarla, coinvolgiamo i nostri vicini. Chiediamo al Sindaco cosa si sta facendo per garantire la nostra incolumità collettiva, i beni, le automobili. Informiamoci se esiste un piano di emergenza. Chiariamo una volta per tutte se, in caso di alluvione, è sufficiente salire al piano superiore oppure se è necessario lasciare tout court la casa. Perché, se mai dovesse venire il momento, sarà troppo tardi per chiederselo e non è piacevole trascorrere la notte sul tetto in attesa di un elicottero.

Informiamoci di quanto tempo abbiamo per organizzare la nostra emergenza privata nel contesto di quella pubblica: un giorno, un’ora, pochi minuti. Chiediamo le modalità con le quali viene dato l’allarme e teniamole presenti. Valutiamo la percezione che i nostri amministratori hanno della sicurezza collettiva e stimiamo su questo il loro senso di responsabilità in vista della prossima tornata elettorale.

Estendiamo questo ragionamento alle scuole dove studiano i nostri figli. Chiediamo se sono adeguate a sostenere i rischi cui potrebbero essere sottoposte, in particolare per quello sismico, da incendio e da allagamento. Interpelliamo i dirigenti scolastici, coinvolgiamo altre famiglie per comporre la massa critica sufficiente ad essere ascoltati. Domandiamo specifici programmi di addestramento ed informazione per gli alunni e gli insegnanti e verifichiamo che siano portati avanti correttamente e non come un’inutile pantomima.

Se il sindaco o chi per esso non ci ascoltano, riuniamoci in comitati di “cittadini esposti al rischio” senza aspettare che diventino comitati di cittadini alluvionati. O, peggio, di parenti delle vittime. Coinvolgiamo gli organi di informazione, cerchiamo di capire chi conta nell’orientare le scelte dei politici sulla sicurezza. Raccogliamo le esperienze pregresse. Si muoveranno. Nello scrivere, puntiamo in alto. È più facile suscitare l’attenzione di un ministro che quella dell’ultimo consigliere comunale. Usiamo Protezione civica, e i nostri strumenti di social networking abituali per condividere i problemi con i concittadini e non solo. Scambiamo opinioni, esperienze e punti di vista.

Preoccupiamoci anche delle emergenze apparentemente minori. Osserviamo come si muovono le istituzioni sulle piccole cose, a partire dai temporali, dalle ondate di freddo o di calore, se la risposta è tempestiva, cosciente, attenta alle esigenze dei più deboli, degli anziani, dei senza casa. Dai livelli di risposta nel “piccolo” avremo la percezione, anzi la certezza, di come ci si comporterà con le emergenze maggiori. Stigmatizziamo i comportamenti negativi sulla stampa locale, sulle radio, su twitter, in modo da far percepire la nostra attenzione (e di conseguenza, la relativa propensione al consenso).

Facciamo rete. Apriamoci, se soltanto è possibile, al volontariato. Qualunque sia il nostro carisma, troveremo la risposta adeguata: dall’antincendio al soccorso in montagna, dal servizio sulle autoambulanze alla vigilanza ambientale, dal volo sugli ultraleggeri al mondo dei radioamatori. Dedicare una piccola parte del nostro tempo al servizio del prossimo gratuitamente, così, in cambio di niente, farà bene a noi stessi prima che alla nostra comunità.

Impariamo a percepire i segnali di un possibile disastro in corso nella nostra area. Il cellulare e Internet, quando succede qualcosa, sono i primi ad andare in crisi e, anzi, ricordiamo che una ostinata, perdurante difficoltà di connessione del telefonino va sempre valutata con attenzione. Teniamo in considerazione i tipici strumenti di comunicazione “robusti” con i quali il sistema di allertamento nazionale dirama i suoi messaggi: i telegiornali, i giornali radio, “onda verde”, il canale “isoradio”, solo per dirne alcuni.

In caso di previsioni di ondate di calore o freddo intenso, se si viaggia in macchina, teniamo il serbatoio pieno in modo da garantirci comunque caldo o fresco in caso di soste prolungate. Lasciamo l’autoradio sui canali nazionali, anche se sono alle volte insopportabilmente noiosi o, appunto, sull’isofrequenza delle Autostrade, pur sapendo che arcaicamente trasmette in monofonia e, essendo ormai noi tutti abituati al “surround”, non riesce ad affascinarci con la sua musica.

Abbandoniamo il proverbiale cinismo italiano del “tu non mi freghi…” e fidiamoci di quello che ascoltiamo: nessuno ci vuole impressionare o, peggio ingannare. Soprattutto se abbiamo con noi dei bambini o delle persone anziane, teniamo presente l’eventualità di rimanere bloccati per alcune ore e prepariamoci con un paio di bottiglie di acqua minerale, biscotti e una coperta: assieme alle catene da neve a portata di mano e il condizionatore in piena efficienza possono diventare autentici strumenti di sopravvivenza. Rifuggiamo dalla curiosità di “andare a vedere cosa è successo”: intralceremmo i soccorsi e rischieremmo pure di farci male.

Non è molto, ma è già un buon inizio.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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