Un ingegnere può essere un giornalista?

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Un ingegnere può essere un giornalista? Immagino già il coro di perplessità e dinieghi. Uno disegna con goniometri e mappe georeferenziate, l’altro scrive con la penna o con il tablet a scorrimento digitale. Uno ha il suo ordine professionale, anche questo georeferenziato, sito a Roma in piazza della Repubblica (forse per ammirare e calcolare il getto della fontana delle Naiadi), l’altro ha il suo rispettabile ordine professionale, incassato come un sandwich in quel di Piazza della Torretta tra i piani dedicati alla vita sindacale.

Credits: www.eidos.co.it

Non divago e ritorno al punto: un ingegnere può essere un giornalista?

Chi sta leggendo queste righe lo fa perché un bravo ingegnere si è inventato un algoritmo che consente a questo articolo di viaggiare in rete

E di farsi trovare pronto all’appuntamento.

Sarà letto da chi ama il sito, sarà letto da chi frequenta con passione l’arena del giornalismo digitale, sarà letto da chi grazie ad un link di un suo amico virtuale, sarà attratto dal rimbalzo della bacheca social.Questo articolo farà il suo viaggio e raggiungerà i suoi pochi o molti destinatari. A traghettare questo pezzo sarà quell’idea progettuale nata dal confronto con chi gestisce il sito.

Se allora lo scopo dell’informazione e del lavoro di noi giornalisti è farsi leggere, arrivare a destinazione, coinvolgere il maggior numero di persone, chi ha scritto quel codice e che in vita sua probabilmente non vorrà mai scrivere una riga su quanto vede attorno a lui, non vorrà fare il cronista di strada, a mio avviso è a tutti gli effetti un giornalista.Ne derivano alcune conseguenze contrattuali e previdenziali.

È necessario, prima di andare sul pratico e sullo spicciolo (entrambi attori della partita nobilissimi, tanto più nobili nel momento di crisi che attraversa la categoria), vedere il cambio di paradigma contenuto in questo piccolo passaggio.Considerare quell’ingegnere (non tutti, per carità, non chi progetta ponti o autostrade) un mio collega

significa semplicemente pensare al nostro prodotto in modo massivo e complessivo.

Significa non più limitare il perimetro della nostra azione al nostro compitino – l’articolo di giornale, il pezzo per la radio, il montato radiotelevisivo – ma inserire la nostra tesserina in un puzzle più grande. La visione d’insieme è il frutto del lavoro congiunto tra le sapienze più tradizionali, di cui è ricco il nostro mestiere, e gli sguardi, anche tecnologici, più innovativi.

Significa riscoprire il significato di team di lavoro. Significa creare piramidi non così appuntite all’interno delle redazioni e significa scambiarsi informazioni per creare il miglior prodotto possibile e quello più mirato e diffuso.

Ho voluto sottolineare il cambio di passo culturale perché questa è la sfida che dobbiamo giocare e possiamo vincere. Una sfida che passa attraverso il coraggio di non arroccarsi in un mondo trapassato,

fare della mutazione e dei punti di equilibrio sempre diversi nel Giornalismo una condizione ineludibile,

Una mutazione in cui riconoscere alcune direttrici forti di marcia e seguirle con ambizione e risoluzione.

Nella partita del coraggio ci sono però quei due giocatori, il Pratico e lo Spicciolo, che hanno un gran bisogno di scendere in campo.

Il Pratico è il perimetro del mio contratto di lavoro, la sede ideale per far confluire diverse “professionalità” a prescindere dagli Ordini di appartenenza. La madre di tutti i contratti di lavoro, il FNSI-FIEG, è sempre meno frequentata. Gli articoli 1, croce e delizia di ogni collega, si aggirano intorno alle 16300 unità, il 20% in meno del livello pre-crisi. Nonostante ci sia stata una piccola inversione di tendenza dovuta alla conversione di rapporti di lavoro grazie agli sgravi triennali contenuti nella Legge di stabilità, il settore non fa altro che ridurre il perimetro, produrre meno ricchezza, allungare la striscia degli stati di crisi. Abbiamo la necessità di riportare gente nel perimetro di quel contratto e dobbiamo, come sindacato locale e nazionale,

ragionare sulla creazione di almeno un altro percorso professionale e garantito che si applichi al grande popolo dei lavoratori/comunicatori/giornalisti del web.

Con l’obiettivo di farli uscir fuori dall’anonimato di silicio e di evasione fiscale e contributiva nella quale sono oggi confinati.

Lo Spicciolo è l’altro corno del Pratico, è il suo simmetrico, il lato destro (o sinistro) del campo. Se non recuperiamo occupazione, guardando alle nuove figure professionali (l’ingegnere dotato di elaborazione algoritmica è solo un esempio, certamente hard, ma solo un esempio), ci troviamo con grandi difficoltà negli Istituti, Inpgi per la previdenza e Casagit per la salute, che hanno garantito l’autonomia della categoria e dei singoli giornalisti. Con un rapporto pensionati/attivi di 1 a 2 la sorte dell’Inpgi appare segnata. E le ricadute non riguardano solo l’ammontare dell’assegno pensionistico ma la forza di un sistema che ha al suo centro un valore costituzionale che non dobbiamo mai dimenticare: l’articolo 21. Lo Spicciolo sa che può e deve restare in campo perché è al servizio di una missione più alta, di un centravanti di sfondamento – la libera informazione e il diritto dei cittadini di essere informati, – senza il quale siamo tutti più poveri e senza il quale la democrazia nel nostro paese ha meno tutele ed è più debole.

Se accettiamo il cambio culturale, in controluce possiamo intravedere un po’ di compagni di viaggio. E nel mondo del giornalismo sono tutte quelle figure che non fanno altro che mediare contenuti di diffusione di notizie o di comunicazione nelle pubbliche amministrazioni, nei trasporti, nelle reti sanitarie, nelle smart cities così come vorremmo costruirle. E che hanno uno scopo vicinissimo al nostro core business: essere utili ai cittadini, servire la Comunità.

LAZZARO PAPPAGALLOSegretario Associazione Stampa Romana

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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