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Un laboratorio di new media per l’alfabetizzazione digitale

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L’esperienza d’insegnamento all’interno dell’università propone, troppo spesso e temo soprattutto nel nostro Paese, la classica battuta dei miei colleghi più anziani sulla presunta “ignoranza” dei giovani studenti, sulla loro indifferenza ai saperi e sull’incapacità di prendere un libro in mano.

In effetti, soprattutto da quando tengo un corso di Storia dell’Architettura Contemporanea al primo anno, mi capita di constatare come la base d’informazione e di sapere dei miei studenti non siano certo i libri stampati, quanto una qualsiasi fonte digitale che abbia una apparenza di ufficialità.

Questo comporta l’adozione di conoscenze e informazioni spesso sbagliate o distorte (la maggior parte delle voci Wiki di architettura in italiano sono scarsissime) o semplicemente l’incapacità di districarsi nella giunglaNet con un adeguato senso critico.

D’altronde non esistono insegnamenti dedicati a questo mondo, in nessuna scuola media e superiore italiana, a meno che non siano istituti tecnici. Le prime lavagne digitali stanno facendo timido ingresso solo ora in alcune scuole e, spesso, le maestre o i professori non hanno avuto alcuna formazione a riguardo o utilizzano macchine e programmi molto vecchi.

Esiste quindi un problema serissimo di alfabetizzazione digitale che non può essere semplicemente lasciato all’iniziativa individuale di un professore con tanta buona volontà, oppure al fatto che, comunque, i ragazzi “smanettano” naturalmente con i tablet e gli smartphone rendendo apparentemente inutile ogni forma d’insegnamento. Mentre è proprio in questa fase che sarebbe fondamentale aggredire questo fenomeno in maniera visionaria e creativa, offrendo strumenti di conoscenza e consapevolezza diffusa, aperta e democratica per gli studenti delle ultime generazioni.

Da parte mia ho deciso di avviare quest’anno un primo esperimento con il corso che comincerà a giorni nella università dove insegno ormai da nove anni, la Facoltà di Architettura “L. Vanvitelli” ad Aversa.

All’interno del Corso di Storia dell’Architettura Contemporanea da me tenuto, proveremo ad attivare un laboratorio new media in cui insegnare agli studenti a utilizzare i social media e la Rete come luogo di ricerca, scrittura e produzione di contenuti critici legati alla nostra materia di studio.

Ogni studente sarà accompagnato nella costruzione di un blog individuale che gli rimarrà ben oltre la fine del corso, diventando, di fatto, una finestra sul mondo che si arricchirà progressivamente delle sue esperienze di studente e professionali. Su questa pagina lo studente lavorerà e caricherà contenuti concordati con la docenza.

E, oltre a questo, gli studenti saranno coinvolti in un lavoro di analisi, rappresentazione e scrittura instagram/pinterest/twitter dedicato al territorio in cui abitano e vivono, sperimentando in diretta la scrittura come forma sintetica e consapevole.

Parto dalla consapevolezza che non stiamo inventando nulla di nuovo.

Soprattutto se penso ai miei colleghi in Nord America e in alcuni paesi europei. Ma non lo vediamo certo come un problema, anzi, come stimolo a dare forma a una piccola esperienza che, magari, generi discussione e faccia proseliti in altre facoltà italiane.

Il mio grande interesse sta soprattutto nel lavorare sulla dimensione critica nell’uso della Rete, nel costruire con loro una metodologia di base con cui possano lavorare, selezionare e produrre contenuti utili e innovativi, e insieme nel fornirgli le basi per la costruzione di una piattaforma individuale che li possa accompagnare e crescere con loro negli anni universitari.

Anche in questo modo si può combattere la disoccupazione giovanile che, soprattutto nel Sud Italia, sta producendo un esercito fantasma di zombi e rassegnati. Produrre nuovi contenuti, fornire strumenti critici, spingere alla progettazione e condivisione di contenuti che diventino patrimonio collettivo, usare la Rete attivamente e come strumento radicale di crescita: tutto questo ci aiuta a portare anche nelle nostre sonnolente università strumenti e virus di trasformazione dal basso di cui l’Italia ha un vitale bisogno.

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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