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Una medaglia d’oro alle Paralimpiadi vale una iniezione di valori

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Quanto vale una medaglia d’oro alle Paralimpiadi? La risposta, pronta, del saputello di turno dice 75 mila Euro, la metà di quanto vale un oro ai Giochi Olimpici (per un italiano). Ma non sono questi i conti che importano. Il valore di una medaglia, qualunque, alle Paralimpiadi lo si misura secondo quella somma di valori intangibili che chiamiamo società. Basta ascoltare, in questi giorni, le dichiarazioni di ogni azzurro che prima di salire sul podio si spende, senza minimamente pensare ai soldi che incasserà, in un inno alla vita che non può lasciare indifferenti. Allora la domanda dopo la pioggia d’oro in particolare di mercoledì, oro dappertutto e da tutte le generazioni, partendo dagli ormai prossimi 50 anni di Zanardi per arrivare alla fresca maggiore età di Bebe Vio, che infatti si può permettere di urlare a chiusura della sua impresa “che figata!”, a testimonianza anche che davvero la delegazione paralimpica è una fotografia più larga dell’Italia di quella offerta dalla delegazione olimpica, diventa piuttosto: cosa guadagna un Paese da tutti questi successi?

INIEZIONE DI VALORI

Intanto, c’è una robusta iniezione di valori, senza nessuna retorica e, finalmente, senza nessun pietismo, che pareggia i virus che circolano nell’aria e che spingono al suicidio una ragazza offesa e diciamo pure perseguitata dalla rete; poi c’è un richiamo all’importanza e al significato del gioco di squadra, quando anche realizzato in discipline individuali, che sembra l’esempio del fratello maggiore che ancora spera di correggere gli sbagli del fratello più piccolo, meno esperto ma più presuntuoso.

Infine, e non da ultimo, c’è il senso della storia che abbiamo passato insieme, proprio come società. Partiti da tempi in cui parlavamo di handicappati, che così identificati si sentivano essi stessi una zavorra per gli altri, senza speranza, i tempi che ancora facevano chiedere nel 1988 a un signore stupito di fronte alle stampelle e alle carrozzine degli azzurri in partenza per le Paralimpiadi se a Seul ci fosse un santuario. E arrivati a questa estate 2016 in cui le aziende che hanno prima pensato, evidentemente, e poi realizzato campagne pubblicitarie dedicate agli atleti paralimpici sono Barilla, Mediobanca, Eni, dunque la prima fila e comunque una fetta importante del nostro Pil, di quel che siamo. Senza vergogna e anzi con la piena consapevolezza che non si tratta solo di indicare una strada, ma anche di interpretarne i valori, farli riconoscere.

LA SPINTA DELLE PARALIMPIADI

La società ha sempre una sua sensibilità, e proprio per questo ha reagito tardi alla spinta innegabile del movimento paralimpico. Perché all’inizio erano gli stessi disabili, all’epoca ancora handicappati per le comuni catalogazioni, dunque lontani pure dal concetto di lavoratori in quota, a non accendere nessuna emozione speciale. Si parla, per l’epoca, di disabili rancorosi, che proprio perché non considerati dalla società, alla società chiedevano di pagare il conto per la loro malattia, per il loro incidente. E le famiglie con loro. Invece che farli uscire orgogliosamente, ostinatamente li tenevano in casa. E’ la storia non solo dell’Italia, anche una famiglia come i Kennedy c’è caduta in pieno: una sorella di John e Bob era quella che all’epoca si definiva una ritardata, e il patriarca non la voleva nemmeno vedere, pretendeva che fosse nascosta a lui e agli altri.

Eunice Kennedy si ribellò con quella logica irresistibile che hanno i ragazzi: lei è mia sorella, dunque lei è speciale. E su questa equazione fondò il movimento Special Olympics che è complementare alle Paralimpiadi.

L’INTUIZIONE DI ZANARDI

Siamo passati tutti per Londra, per la cerimonia di apertura delle Paralimpiadi in cui Stephen Hawking che tutti consideriamo uno scienziato mentre sarebbe più facile e immediato catalogarlo come un disabile ha riscritto i confini della società, ha abbattuto muri, giudizi e pregiudizi, insomma luoghi comuni, facendoci vedere quello che gli azzurri super-abili, ecco la rivoluzione anche delle parole, ci mostrano tutti i giorni. Tornato per la prima volta nel suo mondo dopo il ricovero in ospedale per ritirare un premio, davanti a una platea di colleghi, addetti ai lavori e spettatori commossi, e in difficoltà, Zanardi ebbe l’intuizione di dire: “Sono così emozionato che mi tremano le gambe”, che significa smettetela di piangere, possiamo ancora ridere insieme. Arrivata ad essere una protagonista di Ballando con le stelle, in una danza Giusy Versace ha perso una protesi, e il suo compagno nemmeno se n’era accorto, perché lei ha continuato a danzare, senza una gamba. Vinta la medaglia d’argento nel salto in lungo, in quella che è diventata una carriera sportiva d’alto livello, Martina Caironi, la nostra partabandiera a Rio, l’ha subito dedicata ai terremotati: “Loro non hanno avuto una seconda possibilità, io sì”.

Questi sono i disabili solari che stanno cambiando l’Italia, e il loro carattere non si misura con soli 75 mila euro

E’ qui la straordinaria forza, l’impatto sociale delle vittorie di Rio. Zanardi è diventato il poster dell’italiano che vorremmo essere o che vorremmo come vicino di casa, lui che ha cominciato la sua carriera paralimpica quasi litigando con Vittorio Podestà, diventato suo grande amico, per un parcheggio in un autogrill che sembrava la solita sbruffonata di chi se ne frega delle aree riservate ai disabili e invece era l’avvicinamento di un curioso a una handbike sul tetto di una auto. E Bebe Vio, non da sola, con una forza che la sua famiglia, Ruggero e Teresa i genitori, i due fratelli, riesce a raddoppiare, è la sorella d’Italia, se non addirittura la fidanzata d’Italia, invidiata perché Jovanotti le dedica canzoni. Bebe è andata persino al Parlamento Europeo a presentare il suo progetto Art4sport, di protesi-arti da fornire ad altri ragazzi per fare sport, ha tirato per la giacca Boris Johnson quando era sindaco di Londra chiedendogli di fare di più per eliminare le barriere architettoniche. Questi sono i disabili solari che stanno cambiando l’Italia, e il loro carattere non si misura con soli 75 mila euro: non sono gli ambasciatori di un movimento collettivo, ma sono tanti individui straordinari che la pensano allo stesso modo, e sono capaci di convincerci che la ri-partenza, e non la semplice sopravvivenza, è un valore, un regalo quasi. Da meritare, da festeggiare. Non una sconfitta da attribuire a qualcun altro.

IL VALORE VERO

A Vancouver, vinto il suo primo oro alle Paralimpiadi invernali, dopo aver già vinto l’oro alle Paralimpiadi estive, e a Rio ha vinto una medaglia nella terza disciplina differente, Francesca Porcellato disse: “Questo è il secondo giorno più bello della mia vita”. Inevitabile chiederle: il primo quale è stato? “Quello dell’incidente”, la risposta fulminante. Francesca è paraplegica da quando, a 18 mesi, la investì un camion. Può essere quello dell’incidente il primo giorno più bello della vita? “Sì. Pensa se morivo”. Ecco, i disabili solari sono questi, persone straordinariamente abili nell’aiutarci a catalogare correttamente i valori, esempi nel suggerire come riconoscere le abilità di ognuno, solari appunto perché gli basta un raggio di sole per chiudere l’ombrello, non aspettano che smetta di piovere, si danno da fare. Sta succedendo questo a Rio. E continuerà a succedere: agli azzurri paralimpici non dà fastidio prendere un premio che vale la metà di quello dei loro amici olimpici, perché loro sono capaci di far durare le Paralimpiadi per una vita. E noi dovremmo proprio prendere esempio da questa lezione.

LUCA CORSOLINI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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