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Una via euromediterranea all’innovazione fa crescere le startup

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Sono passati quasi 10 anni da quando il tema delle startup è entrato nell’agenda economica e politica del Paese. Un tempo abbastanza lungo per permettere ad alcuni dei suoi attori e promotori di entusiasmarsi, posizionarsi, ricredersi e ricollocarsi. Ad oggi, sono poco più di 5000 le startup censite dal ministero dello Sviluppo economico e dall’Istat e, sebbene si sia parlato più volte dell’Italia come l’ultimo degli ecosistemi fertili per le startup, la sintesi del rapporto non è del tutto entusiasmante, ma dà comunque avvio a qualche spunto interessante di riflessione.

STARTUP, POCHI FONDI DAI VENTURE CAPITALIST

Le startup italiane sono poco finanziate dai venture capitalist e dallo Stato, questo un dato di fatto. L’Italia investe oltre trenta volte meno della Gran Bretagna quando si tratta di aziende innovative.

E forse non ha nemmeno gli strumenti legislativi adatti e il sistema di supporto alle aziende degli altri Paesi, nonostante i recenti sforzi legislativi. Non è solo la quantità di investimenti a rendere il Regno Unito il Paese europeo più favorevole alle startup, ma anche la facilità con la quale si apre e si gestisce un’azienda, la burocrazia e i relativi costi del lavoro, fiscali e bancari.

Il Global Innovation Index 2016 Report ci dice che l’Italia si colloca complessivamente al 29esimo posto della classifica per innovazione

Le startup italiane, inoltre, pare che non muoiano, ma neanche scoppiano di salute. Dal 1 gennaio 2014 al 30 giugno 2015 sono state solo 59 le imprese che hanno cessato la loro attività. Il dato non è necessariamente positivo.

Se è vero che queste imprese dovrebbero occuparsi di progetti imprenditoriali altamente innovativi, il tasso di fallimento dovrebbe essere fisiologicamente più alto. Lo stesso strumento del “fail fast”, già previsto dal Decreto Crescita 2.0 del 2012, avrebbe preso come buona questa premessa consentendo di fatto agli imprenditori una rapida ripartenza e una minore vessazione in caso di fallimento. Guardando più in generale alla propensione all’innovazione italiana, il Global Innovation Index 2016 Report ci dice che l’Italia si colloca complessivamente al 29esimo posto della classifica, alle spalle di Malta, Repubblica Ceca e Spagna. Nella top 10 dei Paesi presi in considerazione ben 8 sono in Europa con Svizzera, Svezia e Regno Unito nelle prime tre posizioni. Le infrastrutture hanno la loro importanza, ma quello che emerge chiaramente dal rapporto è che le debolezze del Belpaese sono ancora nell’istruzione, nell’internazionalizzazione e nella produttività del lavoro.

STRUMENTI DI POLICY

Questo e altri dati sulle nuove imprese impongono una serie di domande sugli strumenti di policy adottati, sulle dinamiche di mercato e sulla politica industriale del Paese. Se vogliamo avviare un nuovo ciclo di crescita, non bastano gli incentivi e nemmeno lo sviluppo di nuove tecnologie. Se l’obiettivo non è costruire nuovi e inutili capannoni destinati a rimanere vuoti, è necessario un modello di innovazione e crescita che rispetti e valorizzi il genius loci, i driver e gli asset italiani. Qualità, benessere, socialità, tipicità sono le parole d’ordine di una via euromediterranea all’innovazione che, piuttosto che affannarsi a rincorrere i serratissimi ritmi della Silicon Valley – possibili solo a fronte di ingenti investimenti pubblici e privati e di condizioni di contesto favorevoli – si focalizzi sull’ impatto sociale e ambientale come fattori distintivi.

COSA E’ USCITO DA HEROES MARATEA

Può la filosofica e la cultura mediterranea diventare un nuovo emblema di innovazione, benessere condiviso e ricchezza economica e sociale? Come hanno dimostrato le molte storie di startup a impatto sociale presenti nella prima edizione di Heroes Euromediterranean Co-innovation Festival che si è tenuto a Maratea dal 21 al 23 settembre, avere successo è molto di più che essere depositari di un brevetto tecnologico innovativo e performante. Per sua natura, la tecnologia ha un tempo di obsolescenza rapidissimo e quello che può fare la differenza è l’impatto e il livello di soddisfazione di chi la tecnologia la usa.

Uscire dalla logica autoreferenziale dell’innovazione tecnologica e concentrarsi sulla soddisfazione e il benessere del proprio target non solo è giusto, ma conviene

Un tema attuale ed estremamente dibattuto. Perché, come sostengono anche Michael Connerty, Eric Navales, Chris Kenney e Tanay Bhatia dalle pagine del Harvard Business Review, uscire dalla logica autoreferenziale dell’innovazione tecnologica e concentrarsi sulla soddisfazione e il benessere del proprio target non solo è giusto, ma conviene. Secondo gli studiosi americani, infatti, le imprese in difficoltà spesso hanno in comune una piccola eppure determinante mancanza: si concentrano sul prodotto e non sul beneficio percepito dai clienti. Eppure, solo concentrandosi sui valori il prodotto acquisisce quelle caratteristiche di infungibilità e non sostituibilità che hanno reso grandi alcuni marchi del Made in Italy.

LA SFIDA E’ SULLA TECNOLOGIA

L’utilizzo della tecnologia e dell’innovazione per la risoluzione dei problemi sociali è la sfida a cui l’Europa nei prossimi anni deve far fronte. Come identificare le idee più promettenti e connetterle con i giusti mercati e clienti e sostenere la loro crescita è l’aspirazione più grande di chi sta scrivendo. Un obiettivo che richiede di ripensare i meccanismi di collaborazione tra pubblico e privato, tra università e imprese, tra investitori e startup, combinando opportunità di mercato con i bisogni sociali e attivando meccanismi di finanziamento ibridi e meritocratici secondo un modello di co-responsabilità diffusa.

Il principale successo di Heroes, forse, è stato proprio questo: favorire l’humus per la contaminazione e il dialogo tra persone e mondi diversi, eppure complementari: nord e sud, profit e non profit, ricercatori e manager, umanisti e scienziati.

Il risultato, una visione collettiva di innovazione che ha messo al centro l’uomo, la dimensione locale e la spinta globale, la produttività e il benessere delle persone. Una visione che potrà diventare concreto cambiamento e innovazione solo se riuscirà a rappresentare e far dialogare interessi apparentemente distanti e divergenti verso un unico valore condiviso. Una terza via all’innovazione che sa utilizzare la velocità per andare più lontano.

Le start up finaliste dell’Heroes Prize Competition

  1. dbGLOVE di Nicholas Caporusso, premiata per l’utilità e l’inclusività. Si tratta di un dispositivo indossabile che permette ai non vedenti e non udenti di ricevere messaggi dal mondo esterno senza alcuna mediazione. Il sistema si avvale di un guanto che trasforma gli input provenienti dal movimento in messaggi ricevuti da un dispositivo mobile.
  2. Keepers, la startup israeliana attiva nel campo del cyber bullismo.
  3. Prevenzione dei rischi ambientali, gestione di eventi meteorologici intensi, miglioramento della mobilità urbana e della sicurezza è l’ambito di intervento di Artys, il sistema che fornisce dati ed evidenze per scelte più rapide e consapevoli.
  4. Legami, costruzione di relazioni, amicizie e condivisione di interessi è la missione di Comehome, la piattaforma che permette di organizzare e partecipare agli eventi in casa più interessanti.
  5. Benessere, salute, sicurezza sul lavoro è quello a cui mira StayActive, un piccolo dispositivo che si collega allo smartphone e che permette di valutare la propria postura ricevendo anche le giuste correzioni.
  6. Occupabilità è la parola d’ordine di Just Knock, la piattaforma online che rivoluziona il modo di trovare lavoro, inviando idee al posto del CV. Uno strumento utile per le aziende che vogliono valutare il vero potenziale delle persone per la propria azienda e per i candidati che sanno di avere un valore aggiunto. Come suggerisce lo stesso nome della giovane azienda, non basta trovarsi al posto giusto al momento giusto, bisogna anche sapersi far ascoltare.

VALENTINA CILLO

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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