Dare voce a chi non ne ha. Con questa idea in testa Antonio Amendola ha fondato Shoot4Change (S4C), un’organizzazione no profit di volontariato fotografico sociale. Antonio sarà presto un autore fisso di Chefuturo. Intanto, in vista di #occupylaquila, l’evento lanciato da Wired Italia per il 15 aprile, gli abbiamo chiesto di spiegarci perché è importante raccontare storie di luoghi e persone dimenticati.
Qualche giorno fa Moni Ovadia ha inviato un messaggio ai membri di Shoot4Change, un romantico atto d’amore nei confronti del raccontare storie. È un messaggio importante, perché da senso, per così dire, a quel che ho cominciato a fare con S4C. In fondo non siamo che racconta-storie. Andiamo in giro, teniamo gli occhi aperti, scoviamo piccole o minuscole storie di gente straordinaria che opera in silenzio e le raccontiamo.
Tutto qui.
“Raccontare significa consegnarsi al futuro. Portare il passato nel presente e nel futuro“, dice Ovadia. “Dio ha creato l’uomo perché amava sentir raccontare storie“. È importante saperle raccontarle e, ancora più importante, è volerlo fare.
Non sono sempre e solo le grandi storie, quelle con la “S” maiuscola, che cambiano il mondo. Sono quelle piccole che lo cambiano davvero. Quelle spesso dimenticate, sottovalutate, ignorate. Quelle degli innovatori locali, quelle di chi insiste e resiste, di chi fa il volontario e spontaneamente rinuncia a parte del proprio tempo mettendolo a disposizione di chi ha bisogno. Quelle di chi porta sollievo a chi vive in situazioni di disagio sociale.
Il mondo lo cambiano le storie minuscole. Così accade nell’economia globale del palcoscenico globale.
Sono le storie di chi insegna fotografia ai bambini di uno slum in Bangladesh affinché abbiano una chance lavorativa e, in futuro, possano raccontare se stessi e la loro realtà al mondo esterno. O quelle di chi – con un ritratto – fa nuovamente sentire belli e visibili dei senza dimora che pensavano di essere diventati trasparenti al resto del mondo.
Ho creato S4C perché volevo una piattaforma a disposizione dei tanti racconta-storie in giro per il mondo che hanno voglia di democratizzare lo storytelling sociale e ridare visibilità e dignità a chi l’ha persa o mai l’ha avuta.
Dopo un po’, facendolo, mi sono reso conto che probabilmente non stavo giocando seguendo le regole altrui. Perché? Perché S4C è crowdphotography, dove il servizio fotografico è il risultato del coinvolgimento e dell’interconnessione creativa – crowdcreativity – di persone che non si conoscono tra loro ma che contribuiscono tutte insieme al progetto.
C’è chi lo fa tanto, chi poco, chi bene, chi meglio, chi con macchine professionali, chi con compatte amatoriali e smartphone.
S4C è nata come agenzia fotografica virtuale e globale. Non ragiona in termini commerciali, perché i clienti e i committenti non hanno risorse. Ecco perché i suoi risultati neppure vengono considerati dai media mainstream. La sua storia è questa: da blog ad associazione no profit, fino a movimento globale. Se è vero che i ricchi hanno i loro fotografi, noi siamo i fotografi di tutti gli altri. Raccontiamo il meglio e il peggio di ciò che accade sotto i nostri occhi e spesso non riusciamo a percepire.
Da qui all’Aquila il passo è breve. Anzi, è un circolo che per un attimo si chiude. L’idea di S4C è nata proprio a ridosso del terremoto ed ora, a distanza di tre anni da quella notte che ha cambiato molte cose in Italia, siamo tornati laggiù per raccontare storie. Lo abbiamo fatto a modo nostro, senza urlare, senza cercare storie gridate e incazzate. Abbiamo semplicemente acceso i microfoni e le macchine fotografiche e abbiamo chiesto agli aquilani di raccontarsi e di raccontare la voglia di resistere ed insistere. Tutto qui.
Il risultato è un web doc ‘Questa è L’Aquila’ realizzato al fianco di ANPAS. È solo il primo tassello di una piattaforma web che mettiamo a disposizione degli aquilani, degli abruzzesi e di tutti coloro che vogliono ricordare. Ricordare per onorare ciò che ci ha detto Moni Ovadia a proposito dell’importanza del racconto: “Raccontare significa consegnarsi al futuro; raccontare significa portare il passato nel presente e nel futuro. Non possiamo risarcire il passato se non raccontandolo perché non cada nell’oblio“.
Un web doc o un sito di racconta-storie fanno innovazione sociale? Sì. Secondo me la fanno, eccome. Questa volta siamo stati al fianco di ANPAS: un rapporto ibrido, singolare e innovativo. Di norma i volontari sono gente che fa. Gente che non lo racconta, ma lo fa e basta. Ed i fotografi, invece, raccontano per loro natura. Il mix di due mondi apparentemente distanti può essere esplosivo.
Adesso, infatti, cominceremo a formare coloro che gestiscono le emergenze sociali alla comunicazione creativa e innovativa. Pensiamo di rivolgerci anche a coloro che intervengono nelle crisi o lavorano in un centro di accoglienza per senza dimora. Perché per il nostro futuro è importante saperle raccontare le belle storie. Ma non basta: vogliamo che a un certo punto quella storia diventi indipendente e impari a raccontarsi da sola.
È uno dei motivi per cui crediamo nell’iniziativa #occupylaquila. A dire il vero, io rilancerei lo slogan usando l’hashtag #reoccupylaquila. In fondo, si occupa uno spazio cui non si appartiene. Casa propria, invece, si rioccupa. O no? Ma non è solo una questione di termini. L’emergenza all’Aquila sembrava conclusa perché tutti i media ci hanno raccontato che il peggio era passato. Che gli sfollati erano tutti alloggiati, che il mondo aquilano sembrava avviato ad essere il migliore dei mondi possibili. Non vi ricorda l’annuncio di Bush “Mission Accomplished” sulla portaerei in mezzo al Golfo Persico?
In tanti ci hanno chiesto di poter dire la loro. Ci hanno spiegato che durante le dirette di famose trasmissioni tv venivano sistematicamente scartati coloro che volevano esprimersi in maniera pacata e costruttiva. Quel sito, quella piattaforma, quel “non luogo online” finalmente è a loro disposizione.
Ed eccoci qui. Anzi, lì. Anzi, in realtà non so dove siamo. Siamo un po’ ovunque e raccontiamo la nostra versione da più angolature. Perché intorno a noi accade più di quel che sappiamo e di quel che ci dicono. Alla fine è così, è sempre questione di punti vista: più sono, meglio è. Siamo in tanti e cresciamo giorno dopo giorno. Stiamo imparando a guardare la realtà che ci circonda con occhi diversi, usando Internet come arma creativa per raccontare storie e interconnetterle tutte. Ecco perché ricordo spesso un detto africano:
“Se vuoi andare veloce vacci da solo. Se vuoi andare lontano vacci insieme”.