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Vi racconto che ci fa la social innovation nella task force di Passera

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Insegnare a 300mila persone a far di conto dal divano di casa. Dare a 45mila giovani ogni anno l’opportunità di crearsi un lavoro in proprio. Offrire servizi competitivi di ricerca e digitalizzazione di documenti vari grazie a un team di 2000 dipendenti.

Li avete riconosciuti? Probabilmente no. Si tratta di Khan Academy (USA), Educate! (Uganda) e Samasource (Africa e Caraibi), startup sociali e punti di riferimento non solo per la comunità di social innovation, ma anche per clienti assolutamente mainstream come Google, LinkedIn e Microsoft, solo per citarne alcuni.

In comune, oltre a numeri di primissimo ordine, hanno però anche la fortuna di aver trovato investitori lungimiranti, che hanno visto nel lato social la possibilità di un impatto – e in alcuni casi, ritorno finanziario – non indifferente.

Un merito riconosciuto anche alle startup sociali dotate di un potenziale che non ha nulla da invidiare alle startup tech, anzi. E così, Facebook, Cisco e Rockerfeller Foundation non disdegnano di donare 3 milioni di dollari a Samasource, mentre Khan Academy riceve un round di finanziamento di oltre 7 milioni, tra investitori vari.

Siamo ovviamente su un pianeta diverso se si parla di Italia, e i punti da affrontare sono parecchi. Dalla mancanza di una forma giuridica dedicata e nuova, magari in stile B Corp (USA) o CIC (UK) – la legge sull’imprenditoria sociale in Italia risale al 2005, ha molte lacune e sembra non piacere a molti, visto che nel registro ci sono solo 348 imprese iscritte – che permetta ampia manovra sia di azione che di gestione dei fondi, all’assenza quasi totale di programmi di incubazione diffusi sul territorio dedicati a startup sociali.

Anche se negli ultimi due anni c’è stato un boom di concorsi, business plan competition, startup weekend, corsi universitari e quant’altro con focus social, un ecosistema vero e proprio tarda ad arrivare. E un modello di sostenibilità permanente ancora non riesce a trovare appigli per svilupparsi in modo adeguato. Se aggiungiamo poi che c’è un solo VC in Italia focalizzato su social innovation e startup collegate (OltreVenture) e che in genere il sociale viene visto come settore vecchio, stagnante e per nulla innovativo, l’idea generale che ne emerge non è certo delle più allettanti. Neppure per chi vorrebbe provare a buttarsi per creare qualcosa di nuovo che, oltre al portafoglio, faccia bene anche alla società o all’ambiente.

Sì, perché è questa la vera essenza di fondo che emerge nel contesto delle startup sociali, cioè la capacità di produrre utili e contemporaneamente creare beneficio per gli altri e l’ambiente.

In una congiuntura storica ed economica così particolare come quella corrente, innovare diventa fondamentale per riuscire ad adattarsi e sopravvivere. E il settore sociale non è diverso dagli altri, neppure da quello tech. L’emergere di nuovi bisogni e la ricerca di esperienze differenti è un aspetto che riguarda tutti i settori, e sebbene la tecnologia sia imprescindibile dal concetto di innovazione, non lo è nella realizzazione della stessa.

L’equazione tecnologia = innovazione (e viceversa) sta contagiando sempre di più anche la visione di molte startup sociali in Italia, dato che i concorsi hanno spostato l’attenzione sul finanziamento di prodotti tech, sociali o meno che siano. Ma avere un sito web carino e qualche app non è sufficiente per essere veramente innovativi e unici. L’innovazione sociale è una questione di mentalità più che di opportunità finanziarie, da incoraggiare per i risultati e l’impatto che ci si prefigge, al di là dei mezzi tech o meno che utilizza.

Le cose però, potrebbero presto cambiare anche da noi con l’avvio di iniziative come Italia Startup, che mira a creare un’agenda di proposte concrete e attuabili per favorire la creazione di un ecosistema organico, integrato, coeso e, soprattutto, inclusivo. Tutte caratteristiche assolutamente necessarie per fare il salto di qualità ed aiutare il Paese ad affrontare le sfide ancora a venire in termini di crescita economica, occupazione giovanile e valorizzazione del talento nostrano.

Italia Startup sarà poi anche il braccio operativo della Task Force sulle Startup Innovative fortemente voluta dal Ministro Passera, un segno anche questo dei tempi che cambiano, sia per i temi affrontati che per le modalità di partecipazione. Qui, veramente, si cerca di creare un’altra Italia, dove chi ha un’idea e la passione per realizzarla, possa anche avere gli strumenti per farcela sul serio.

Strumenti equi, diffusi e, per una volta, alla portata di tutti. Poco importa se l’idea in questione sia tech, social o altro, perché il merito e l’impatto sono trasversali, sempre.

Così facendo, anche l’azienda che produce software per la valutazione ed eventuale miglioramento della performance degli insegnanti di scuola elementare potrà fare round di finanziamento di prim’ordine. L’impresa sociale che si occupa di medicina personalizzata avrà incubatori e network di riferimento in cui poter essere inserita per diventare leader nel settore in Italia e all’estero. La cooperativa che crea servizi di supporto all’infanzia nelle ore serali sarà in grado di proporre la sua offerta su tutto il territorio nazionale tramite la creazione di una rete geolocalizzabile di professionisti e asili disponibili a rimanere aperti fino a tardi.

Questi, almeno, li avete riconosciti? Sicuramente no. Perché ancora non sono realtà, ma potrebbero presto diventarlo, con il supporto adatto e una nuova visione per il Paese. Giovani e meno giovani sono già all’opera, da Nord a Sud, creando le startup social innovative del futuro. Preparatevi, stanno già arrivando.

Roma, 16 aprile 2012SELENE BIFFI

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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