Vi racconto come avrò presto una mano stampata in 3D

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“Da giovedì la mano non è cresciuta?” Mi ha chiesto una simpatica bambina di sette anni, la settimana scorsa. Ma cosa si può rispondere a una domanda del genere? Provateci, non è affatto semplice.

Di solito è il “Che ti è successo?”. Poi tutti pensano a un incidente, o perché è così corta, o “ce le hai le dita?”.

Sorpresa e bloccata. Come potevo replicare a quella domanda troppo scomoda per noi adulti? Io che ero abituata alle questioni dirette, che di solito non mi provocavano nulla di che, risposi con un: “Eh no, non ancora”. Mi ha messo alla prova. Giuro. Nessuno prima di lei mi aveva posto una domanda così. E i bambini ci sorprendono quando meno te l’aspetti. Non creano barriere, vogliono solo conoscere ed essere partecipi nello stesso istante.

Situazioni imbarazzanti si verificano, invece, con i genitori che li accompagnano. Si ha timore di quello che non si conosce perché risulta diverso da ciò che siamo abituati a percepire come nostro. E ci si allontana. Immediatamente.

Credits: digitaltutors.com

Quindi proviamoci a vedere negli sguardi, nella distanza, un modo per sorpassare questo senso di disagio. Ogni persona è diversa e promuovere le differenze non può che farci bene come condividerle e guardare avanti. Siamo grandi. Ma dobbiamo comunque imparare.

Il non osservare, pensando “poverina”, per me non è sinonimo di compassione. Vuol dire io sto qui, tu là.

Perché non avvicinarsi e spiegare ai bambini cosa è veramente? Oltre a quello che non c’è, infatti, c’è qualcos’altro. E molto spesso ce ne dimentichiamo, ma è una fortuna che sia così.

L’incontro con la simpatica bambina è avvenuto una settimana fa. Il giorno prima non mi trovavo a Torino, ma in viaggio per qualcosa a cui non avrei mai pensato. Coincidenze e messaggi hanno fatto il loro lavoro. In treno ero curiosa, ma colma di timore. La notte, infatti, non ho dormito.

Io che avevo detto che non sarei mai cambiata perché stavo bene così, ora dovevo adattarmi al mondo e renderlo un po’ meno ostile.

Quando inizi a conoscerlo meglio, questo mondo, puoi riuscire a muoverti meglio, diventi più agile, sai dove prendere e mettere ciò che ti serve, puoi riutilizzarlo per farlo un po’ tuo. E ho scoperto che non serve andare oltreoceano. Io, convinta che in Italia: “certo ci sono le persone, ma non le possibilità”.

Mi sono dovuta ricredere. Ed è difficile ammettere di aver bisogno di aiuto, e chiederlo è stato complicato, per timore di scomodare il prossimo. Avrei fatto da sola. Sbagliando, certo. Ma se qualcuno ti dicesse: “Devi trovare altre soluzioni, così non riuscirai a fare quello che vorrai”. Cosa diresti?

Forse la prendereste all’istante, questa occasione. Io c’ho messo un po’ di più. Perché per me è sì o no. Se decido che è bianco deve rimanere bianco. Dovevo scegliere, ragionare, e per fortuna in questa vicenda ci sono andata a fondo. Da quando ho inviato una semplice email a chi non sapevo ci fosse dietro, a chi non conoscevo.

Il team di OBM

C’ho provato. E venerdì scorso è iniziato un percorso all’interno di una grande famiglia: l’Open BioMedical Initiative un’organizzazione no profit, una community globale di volontari (molti dei quali in Italia) che è nata nemmeno un anno fa. Ora sta crescendo e io, ora, ci sono dentro. Serviva una persona senza una mano, io ho trovato loro che una mano me la possono dare. Letteralmente. Insomma, una mano vera. Persone capaci, piene di voglia di fare con tante idee in gioco.

Al 3DPrintHub, l’evento che ha collegato il mondo produttivo e la stampa 3D a fieramilanocity, c’è stato il nostro primo incontro. Per capire se effettivamente ci potevano essere le potenzialità. Loro sono concreti. Aggiungendo alla semplicità l’innovazione. L’OBM Initiative si propone di realizzare e distribuire tecnologie biomedicali che siano open source, low cost e quindi alla portata di tutti, stampabili in 3D.

Unione e scambio continuo di pensieri tramite collaborazioni importanti, prima tra tutte quella con Sharebot, azienda leader in Italia nella stampa 3D. Per migliorare la vita, la quotidianità, il futuro di tante persone. Qui, in Italia (e non è poco).

IL PROGETTO (E IL RACCONTO)

Sarà una protesi elettromeccanica stampata in 3D basata su un circuito made in OBM. Sarà la nostra scommessa. Vogliamo a nome di tutto il gruppo raccontare questa storia. Unica. Passo per passo. Approfondita e descritta includendo incontri, prove, testimonianze, speranze.

Sarà un diario di bordo da tenere con cura. Potrete leggerci, trascorrere con noi un po’ del vostro tempo, se vorrete. Conoscere questo mondo ed esplorarlo in tutte le sue parti. Settimana dopo settimana. Io sono Fabia, e in questo arco di tempo non mi è cresciuta la mano, ma loro (me l’hanno promesso!) ci stanno lavorando sodo.

FABIA TIMACO

(Questo post è un re-blog. Qui il post originale pubblicato sul sito della Fondazione Make in Italy)

Originariamente pubblicato su chefuturo.it

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